giovedì 29 settembre 2016

Quel filo di autunno e di paura, da Flaubert




Nel suo romanzo giovanile "Novembre, così Flaubert trasmette, in apertura, le timbriche profonde della stagione autunnale, quel suo filo pauroso, ritratto nei colori grevi dell'aria, nello smorzarsi della vita, ma anche nella dolcezza di questa morte, di questo fioco segreto che è vivo del suo solo morire. Dei tocchi molto suggestivi, che mi hanno davvero colpito nella penetrazione precisa del sentimento. Della luce sentimentale, che le sue parole sono riuscite a irradiare come sensazioni dai segni, dove il linguaggio diventa il liquore  di ciò che descrive, e dove non sembra più di leggere, ma di scolorire con lo stesso paesaggio. Di ammalarsene, anche della sua crudele esattezza.

L'incipit di "Novembre":

"Amo l'autunno: questa triste stagione è adatta ai ricordi. Quando gli alberi non hanno più foglie, quando il cielo conserva ancora al crepuscolo il colore rosso che indora l'erba appassita, è dolce veder spegnersi tutto ciò che poco fa bruciava ancora in noi.
Sono appena rientrato da una passeggiata nei prati deserti, lungo le fredde rogge nelle quali si specchiano i salici; il vento faceva sibilare i loro rami nudi, a volte taceva, e poi improvvisamente ricominciava; allora le foglioline che rimangono attaccate ai cespugli tremavano di nuovo, l'erba fremeva piegandosi a terra, tutto sembrava diventare più pallido e più gelido; all'orizzonte il disco del sole si perdeva nel color bianco del cielo, e lo permeava tutto intorno d'un po' di vita che finisce. Avevo freddo e quasi paura".

Gustave Flaubert



























mercoledì 28 settembre 2016

Riflessioni sparse sul senso della pubblicazione, dell'autopubblicazione e della non pubblicazione (parte VII)


Riordinando adesso le varie idee che ci siamo scambiati nel corso di questo piccolo viaggio, se una di queste sere riuscirò a sorseggiarmi una birra con il caro e fatidico scrittore X, ascoltando le sue sfuriate o lamentele sulla scrittura o sulla pubblicazione e argomenti affini, io gli direi, con grande calma e semplicità qualcosa del genere, che può sintetizzare meglio il mio pensiero e il mio sentimento in questa dirittura di arrivo e che condivido con voi:
"Mio caro amico scrittore X, goditi ancora la tua scrittura, in tutte le possibili condizioni, senza esclusione di colpi, a partire dalle piccole cose. Come se fosse il tuo primo segno, tracciato nel tuo primo giorno di vita. Goditi il freddo del mattino sulla faccia, quando apri la finestra e cominci a tracciare un tuo primo pensiero. Una linea di pensiero, anche molto elementare, non cambia, se davvero ti rappresenta per quello che stai avvertendo in quell'istante di te e attraverso di te, avrà e incontrerà la ribellione della sua adolescenza e la pienezza e la stabilità della sua maturità, potrai scommetterci. Anche in una parola può nascondersi un pensiero da tracciare, un pensiero limpido e umano, dove si concentri e si consacri il clima preciso di quel giorno, che non ritornerà più, con la sua freschezza e verità, ma anche con tutte le ombre della notte passata e con tutte le possibili condizioni che ne hanno favorito la traccia sul bianco e la rottura improvvisa del silenzio. I rumori della strada, le luci che vedi dalla tua finestra, la voce di qualcuno che chiama, la sirena di un antifurto, una palla azzurra che rimbalza. Quella linea tracciata sarà già un miracolo, un compimento che ti fa vivo e che ti migliora e che ti fa umano, testimone di una civiltà, dove questo segno che hai tracciato è frutto di sentieri, di lunghi viaggi, di secoli, di mari profondi e in tempesta, come di dolori e di iniziazioni a grandi misteri, ma soprattutto di libertà. Il dono di poter condividere questo tuo segno, con questo tuo mattino, con tutta la sua unicità, con gli spazi che ti sono consentiti è una prova del tuo essere libero, nell'esercizio delle tue emozioni attraverso i segni del tuo linguaggio. Serbare nel cuore il momento, l'intimità del tormento del segno è già un grande viaggio. Da quel rigo, qualsiasi cosa accada, ti rimarrà la pienezza dell'esperienza e la tenerezza del sogno, con la sua innocenza creativa e insieme il suo piccolo inferno. La sua purezza e l'aria di quel mattino, quella stessa, sulla tua faccia, quando lo rileggerai, semmai di sera tardi, mio caro scrittore X, quando quella stessa finestra aperta sarà chiusa o darà sul buio. O anche dieci anni dopo, mentre tua figlia ti sputa un biscotto sul tappeto. Occupa, mio caro amico, tutti i luoghi dove puoi esprimere il tuo pensiero e il tuo amore profondo per questo pensiero, dove puoi tracciare la tua linea, in un comportamento inclusivo, tipico delle dinamiche espansive della vita e della tua epoca, dinamiche che si muovono e maturano solo sull'apertura e sullo scambio. Il giudizio o il pregiudizio degli altri non sarà mai occasione di crescita quando parte da un partito preso, da una prospettiva a volte spocchiosa, che avrebbe da ridire per qualsiasi passo tu facessi o non facessi. Ci sono persone che ti giudicano e che ti giudicheranno sempre. Se occupi la zona A, ti chiederanno perché non la B. E viceversa, se occupi la zona B rispetto alla A. Potresti occuparle entrambe, fino a quando qualcuno non ti chiederà perché non la zona C. Mio caro amico e scrittore X,  se si dovesse tener conto di tutto quello che molti pensano sulle nostre scelte, allora non si muoverebbe più un passo. Non si possono accontentare tutti, né con la scrittura né con la politica, né con la musica, né con la pittura né con tanto altro. Ma anche se questo avvenisse non sempre sarebbe un bene. Riempi di aria le cose che fai, ma cerca di rispettarti e di valorizzarti attraverso, cercando di preservarne in primo luogo la dignità e il loro valore, la purezza e l'unicità di quello che tu senti sia il loro valore. L'assoluta dignità, questo aspetto è molto importante. Quando si ha rispetto e dignità per un proprio percorso, questo fattore potrà aprirti un mondo e giustificare tutti i tuoi luoghi, i tuoi passi, – anche quelli falsi – come le tue scelte.  Uno scrittore sensibile dei propri limiti, potrà essere dovunque e fare tesoro in qualsiasi luogo e in qualsiasi circostanza delle sue esperienze e del suo talento, se avrà con sé consapevolezza della sua storia, come della sua cultura e della sua profonda spiritualità. 
Mio caro amico, credo che ci siamo detti quasi tutto. Si è fatto molto tardi. La birra era molto buona. Sarei felice di leggerti, un giorno, in qualsiasi formato o condizione, quello che conteranno saranno le tue parole, il loro ardore e non soltanto la loro confezione. Fammi sapere delle risposte dei tuoi editori, mi raccomando. Contina a inviare alcuni lavori, continua a condividerli, allo stesso modo continua anche a trattenerne altri nella tua officina "incantata", in buona penombra, appena ventilati, o al limite a scambiarli con me, portandomene qualche assaggio, semmai in un nostro prossimo incontro e non dimenticare di condividere e fare vivere gli scritti che ritieni pronti negli spazi che il tuo tempo, il nostro tempo, ci consente. Nessun artista potrà mai maturare ignorando le dinamiche, pur se complesse e controverse, del suo tempo, che rappresentano anche la sua voce, la sua storia, il suo passaggio vivo nella sua epoca, che è l'unica che ha e che gli è concesso  vivere, nel bene e nel male. Non escludere mai nulla dai tuoi orizzonti: includi, giudica poco e dormi bene, signor X, che stanotte c'è un cielo bellissimo. Direi per passeggiare, più che per scrivere... mio caro signor X. Quale cielo sarebbe mai stato più adatto per chiudere questa scorsa di riflessioni e salutarci, almeno per ora, così? Con un piccolo buona fortuna?".
Grazie a tutti dell'ascolto.
Luigi Salerno











martedì 27 settembre 2016

Riflessioni sparse sul senso della pubblicazione, dell'autopubblicazione e della non pubblicazione (Parte VI)



Edgar Allan Poe
Proseguendo nella nostra lunga analisi, adesso ci ritroviamo un quadro piuttosto complesso, nel quale mi sentirei di fare alcune particolari considerazioni, ma stavolta non più come portavoce delle inquietudini del signor X, ma esprimendo in piccolo il mio parere. I punti che ho cercato di condividere nelle precedenti riflessioni, mi hanno dato idea che il pubblicare non sia un passaggio automatico e un affare tra due interlocutori sconosciuti che contrattano, ma parte di un processo molto ampio, in cui la pubblicazione sarà una tappa di una serie di altri ponteggi o fraseggi più o meno laboriosi quanto personali, ma che non sempre possono inquadrarsi in un sistema diretto o verticale di condotta, ma più sinusoidale se non labirintico, fatto quindi di una serie di passaggi intermedi e paralleli non sempre pianificabili. Un po' come la vita. I percorsi che riguardano gli incontri, quella serie di elementi che messi insieme ci hanno consentito di trovarci in questo momento con questa persona anziché con un'altra, di frequentare questo luogo, di mangiare in questo ristorante, anche di leggere questo libro, proprio questo e non un altro e spulciare in questo blog dai post chilometrici, per esempio. 
Detto questo consideriamo adesso che ogni scrittore matura nel tempo una sua particolare espansione di condotta in relazione alla sua parte creativa, con una sua  visione di gioco, che lo orienterà verso i suoi territori più interni,  con i confini, le inclinazioni e le suggestioni entro cui sente e non solo deve necessariamente muoversi. Il tutto tenendo conto del suo obiettivo ma anche del suo livello formativo per perseguirlo, così come degli spazi specifici che intenderà (o spererà) di occupare con il suo meticoloso lavoro, il che comporta il considerare nelle sue aspettative e dinamiche, anche il tipo di progetto di cui si occupa e quindi il relativo mercato di appartenenza dello stesso. Il genere della sua scrittura, con tutto il mondo che prevede e che nasconde.  
Credo che sia fondamentale inquadrare subito questi elementi, dal momento che ciascuna espressione, all'interno dell'alveo specifico di un sistema editoriale, contemplerà mondi, risposte e attenzioni differenti, ma molto relati alla cerchia di amatori fedeli se non accaniti di quello stesso mondo e che l'editore, grande, medio o piccolo che sia, dovrebbe riconoscere e studiare a fondo, in modo da orientare con lucidità la sua scelta sugli autori da seguire. (Di solito anche in base al loro magnetismo, come alle modalità, alla personalità e sensibilità con cui questi generi vengono trattati e proposti dagli stessi creatori e aspiranti puledri di scuderia).
Il genere sentito, (ma possibilmente non scelto per strategia) o anche i generi affini che si muovono in un certo tipo di orbita, rappresenteranno dei fattori molto importanti per valutare i tipi di passaggi e i comportamenti successivi, quindi l'impostazione di una certa specifica progettualità in un percorso editoriale. L'aspettativa editoriale di fronte al reperto di un manoscritto fresco, appena inviato, si scontra spesso con una sorta di terrificante maelstrom: di solito più vi è l'ardore di partecipare e di condividere, più prevale quell'impulso selvatico portato a stupire, tipico di racconti o di romanzi imprigionati dai loro spasmi di libertà, con una combustione di idee, di sentimenti deliranti, come di voli pindarici verso orizzonti nuovi e spesso poco definibili e accecanti, specie se smossi del solo amore per l'esercizio della scrittura, e spesso avulsi da una precisa logica di classificazione, per un'ottica di profitto e per una loro collocazione di mercato, pur nell'alveo o nel cratere di un certo genere. 
Il marasma sentimenale e la fibrillazione di un testo appena sfornato dall'officina incantata del nostro scrittore X, in diversi casi non ha quasi mai l'abito della domenica per le convenzioni che una certa editoria prevede per inquadrarlo e valorizzarlo. Di solito una voce di scrittura, pur desiderosa di una pubblicazione, trasmette delle priorità e degli ideali  diversi da quelli editoriali e di mercato, ma conformi a logiche di altre economie, forse più spirituali che commerciali, dal momento che lo scrittore ha perseguito, ancora prima del desiderio di condivisione, il diktat della sua storia, con le suggestioni e le convenzioni di quel suo territorio magico e oscuro, con le sue particolarissime normative. D'altra parte un atto creativo deve muoversi in un certo modo, non può calcolare e limitarsi durante la sua faticosa fioritura. Ma è quindi abbastanza difficile che le regole e la natura più intima e spirituale di quel lavoro includano anche la strumentazione di bordo per fargli prendere il largo. Questo largo, tra l'altro, per un editore potrebbe essere di certe profondità e latitudini, per uno scrittore di altre, semmai anche molto diverse da quelle che immaginava e nelle quali credeva durante la stesura della sua opera. Un largo forse più mistico, quello dello scrittore, se non abissale. 
Ma accade anche l'opposto. Da una parte il maelstrom creativo, dall'altra il controllo strategico a oltranza, dal primo all'ultimo passo: con molta malinconia vedo in giro la tendenza a dedicare fin troppo spazio al fattore strategico, al controllo, alla misura del proprio spazio espressivo, ai suoi bordi perché si predispongano al giusto incastro, il tutto vissuto in alcuni casi come elemento prioritario in un processo creativo. Scrivere per adattarsi a uno standard precostituito di una corte di lettori al quale adeguarsi in tutti i modi, dando all'appetibilità e alla forma di una certa idea, la precedenza sul proprio mood, impopolare o stravagante che sia, ma che è l'unica traccia della nostra unicità. Riscontriamo quindi la monarchia di taluni, contro l'anarchia di altri. Puntare troppo alla direzione, all'educazione rigida alla meta e non al sentimento, fa dimenticare spesso la profondità e la completezza del percorso, anche solo del primo passo, quando è fresco, sentito e ben fatto.  Prevale in molti la smania di captare lettori e di informarsi su come captare e migliorare questa sensibilità magnetica, non solo quando l'opera è ormai completa, ma anche sezionando le fasi più intime, quelle più oscure e solitarie di scrittura, con informazioni di strategia già interne alla formazione della loro tessitura in atto, come se per ogni passo si debba già utilizzare quella carta moschicida adeguata, per beccare lettori come mosche (possibilmente vivi, naturalmente. L'esempio  era legato alla modalità di presa e ci sorrido!) Come fare per: come affinare un passaggio per: come affrontare una curva per: muovere questo paragrafo per: utilizzare  questo tempo per: questa trama per: questa forma verbale per: questo stile per: Questo sistema di pensiero e di controllo di un marketing che invade la penombra e la fragilità della zona creativa e solitaria (a questo punto non più) di uno scrittore, in ogni piccola intercapedine del suo tragitto (quasi a voler trovare un modo di scrittura adatto per pubblicare, per vendere o per rimorchiare lettori) personalmente mi crea un forte disagio perché mi toglie aria e atmosfera, solitudine e angoscia, elementi preziosi e nutrienti, dal momento che durante l'abbandono all'ispirazione e alla fase creativa, se mi impiglio nei "per" e nei "come" distruggo un intero mondo, forse il momento più bello, profondo e poetico che posso concedermi, dove il mio unico "per" sarà invece concentrato nel mistero di quel mio gesto, nella sua possibile inutilità che però mi trasforma, mi completa e mi dà un senso anche nell'incompletezza. (Questo è uno dei motivi per cui sarei molto propenso a fomentare la scuola della non pubblicazione, per ritrovare il giusto contatto con lo spirito dell'intento, il fattore primigenio, la profondità delle incertezze e del non avere idee, sistemi, pensieri, certezze. Almeno pensare seriamente a un'astinenza, quanto meno periodica, all'impulso o genio strategico del "come", per abbandonarsi a un nostro "dove", che non abbia più luoghi e si riappropri di una sua austerità).
Troppo marketing nell'aria, poca poetica e abbandono. Almeno il cantuccio incantato dell'officina deve essere un luogo di silenzio, di studio e di ricerca, ma anche di pudore, di riserbo, di mistero e di sogno, ma possibilmente non di elenchi o vademecum per non fallire. Non credo che le regole valgano per tutti, poi. Un sistema potrebbe funzionare perfettamente per una sensibilità e risultare disastroso per un'altra. Quelli che ho appena tentato di analizzare sono i due eccessi opposti. Ma dovendo scegliere tra i due mali, ben venga il maelstrom di Poe – non a caso maestro indiscusso dell'oscurità letteraria. Tra i due litorali del controllo contro il vortice, per me non c'è gioco!
Per oggi mi fermo qui.













domenica 25 settembre 2016

Riflessioni sparse sul senso della pubblicazione, dell'autopubblicazione e della non pubblicazione (Parte V)


Umberto Eco
L'oggetto di questa quinta parte di riflessione la dedico tutta alla lettura di uno scambio epistolare, avvenuto tra Umberto Eco e uno scrittore esordiente, tale Simone Bartoletti. Questo articolo lo avevo reperito e condiviso fino a pochi anni fa attraverso il sito Golem. 
Adesso lo trovate qui.
Sarà uno spunto molto interessante di approfondimento, per quelli che sono i termini affrontati e sviluppati sulla nostra spinosa questione. 
Una buona domenica!



























sabato 24 settembre 2016

Riflessioni sparse sul senso della pubblicazione, dell'autopubblicazione e della non pubblicazione. (Parte IV)





Le reazioni all'ostacolo di esprimersi come si vorrebbe, aprono davvero un mondo variegato e complesso di comportamenti e di situazioni. Un mondo personale per ciascuna individualità creativa che abbia investito in emozioni, fatica e in tanto altro nell'immergersi in una sua opera letteraria e che poi si è vista respinta. Sentendosi respinta come persona, perché assolutamente interconnessa con quello che riteneva prezioso e indispensabile da condividere del suo talento o della sua idea di talento, espresso nell'oggetto vivo e ancora caldo delle sue attenzioni creative.  E quindi, sentendosi esclusa da quelle precise modalità di condivisione del frutto, che aveva scelto e agognato perché avvertite profondamente vere e quindi realizzabili per il suo scopo di dare senso al suo seme: quelle che in quel momento sentiva appropriate al suo spessore e a quello della sua opera. Un necessario attestato che quella pubblicazione avrebbe dato alla sua persona attraverso la sua opera, fattore indispensabile per portare a compimento il circolo naturale della sua vocazione o chiamata alle armi dello scrivere.
Quindi:
il primo aspetto da considerare è che diversi scrittori, almeno fino a un po' di tempo fa, ma alcuni ancora adesso, sono vincolati a questa idea molto romantica della massima qualità dei loro spazi di espressioni, considerandoli carne viva e imprescindibile dalla loro espressione: credendo, in diversi casi, che il pubblicare una propria opera in un certo modo, in quello che è universalmente considerato il migliore dei modi, debba necessariamente attestare e suggellare loro un certo grado autorevole di riconoscimento, ma soprattutto uno stacco netto di distinzione dagli altri scrittori, che lo eleggano in automatico superiore e non più persona comune. Per cui il valore della loro opera non sarà meno importante del grado esteriore di attestazione che le verrà riconosciuta. 
Ora, dedicandoci ancora al nostro scrittore Mr. X: "Più forte e importante sarà il luogo nel quale condividerò la mia scrittura, più distanze ci saranno con tutti gli altri, con tutti i tantissimi poveri altri, inferiori a me,  con i quali non potrò mai correre il rischio di immischiarmi e di confondermi, perché siamo fatti di una pasta molto diversa. Non potremmo mai condividere le stesse attestazioni e d'altra parte io, scrittore X, non potrò esserne privo di queste attestazioni, quanto invece ne sono privi loro. Dal momento che mi sento nel profondo uno scrittore di razza e quindi sarà giusto che i miei scritti rientrino in una scuderia che contempli scrittori di razza e che mi distingua dalla massa di tutti quelli con un sangue letterario scadente, che arrancano, si adattano, si accontentano! D'altra parte cosa mai potrebbero fare!". Tutto qui. Per cui sarà importante che lo scrittore X in questione, cominci a contemplare una serie di requisiti fondamentali e indispensabili perché la sua persona e la sua opera, rientrino assolutamente in questi ranghi poco abbordabili: ambienti elettivi e quindi selettivi che abbiano scelto di dare spazio alla sua voce, e non a tutte le altre e che giustifichino, con i loro apparati e la loro impostazione, il valore assoluto dell'opera e le distanze di sicurezza dagli altri, sempre più ampie!".
Per cui:
1) Il suo libro dovrebbe necessariamente essere disponibile nel formato cartaceo. Tutti i grandi scrittori che si rispettino, quelli di serie A, sono distribuiti in formato cartaceo. È molto raro, se non impossibile, che uno scrittore di razza pura,  uno che si rispetti, come il nostro signor scrittore X, renda un suo libro disponibile solo in formato digitale. Semmai renderà disponibile anche quest'opzione del digitale, questo sì, ma il suo percorso sarà fatto in primis di carta. Sarà orientato sul cartaceo. E lo scrittore X allora si dirà: "La scrittura nasce sulla carta e deve continuare a vivere sulla carta. Quanto meno quella dei grandi, dei grandi come me, scrittura che deve vivere e sopravvivere in edizioni cartacee! Assolutamente. Non capisco per quale motivo mi dovrei accontentare di situazioni diverse, di certe miserie che sono alla portata di tutti, che di certo non mi distinguerebbero come scrittore puro, di razza. Se voglio davvero distinguermi dalla massa degli scrittoruncoli e scribacchini, dovrò fare le cose in un certo modo, le cose come si deve. Carta, carta di qualità, naturalmente. Ma tassativamente carta! Un vero libro è fatto di carta. Dei suoi profumi, delle tracce del tempo, del fascino che fa il fruscio, quando lo sfogli in solitudine, durante il silenzio del pomeriggio ed è in quello sfogliare una pagina, in quel silenzio, che la voce dello scrittore di razza si fa più intensa e ti entra dentro, nel profondo e poi ti porta lontano". Anche lo scrittore X vuole espandere il suo canto di razza attraverso il fruscio delle pagine, in un pomeriggio silenzioso. E tutto questo gli sarà possibile solo con un'edizione rigorosamente cartacea. Non c'è che dire. Fino a questo punto il suo discorso non farebbe una piega! Andiamo oltre, intanto. Al punto 2 delle condizioni ideali per la sua pubblicazione e attestazione del suo livello:

2) Lo scrittore X, per fare giustizia allo spessore della sua opera e quindi del suo valore come artefice di quest'opera,  vorrebbe che la carta pregiata con il suo lavoro fosse inserita in una linea editoriale di un certo spessore e prestigio, con una storia editoriale di rilievo e con dei compagni di viaggio importanti, che facciano rumore al solo sentirli nominare, in modo da contribuire a dare risonanza e peso alla sua comparsa e quindi al suo nome e alla sua opera. La figura dello scrittore X continuerebbe in questo modo il suo viaggio astrale verso l'Olimpo dei grandi, staccando ancora di più le distanze con i poveri comuni mortali che lo credono ancora uno di loro, – senza sapere e aver compreso ancora chi davvero sia, quanto vale e dove arriverà e chi siano adesso i suoi nuovi compagni di classe. Eliminando sempre di più l'equivoco che il suo sia un talento comune, con uno scritto comune, con un'edizione comune, quindi misera, di serie C e di conseguenza con compagni di scuderia comuni. Nulla di tutto questo, signori. Lo scenario sarà del tutto diverso, invece, del tutto inequivocabile, si dirà lo scrittore X, immaginando già la loro faccia, quella degli scrittori comuni mortali, quelli del ghetto, per intenderci, quando vedranno nel catalogo il titolo del suo scritto, scrittore X dell'opera X, accanto al titolo dello scrittore Z, dell'opera Z. Nuovo elemento di attestazione, folgorante se i nomi saranno folgoranti, naturalmente. I poveri scrittoruncoli non crederanno ai loro occhi e lui intanto sarà stabilizzato nel suo valore, con l'adeguata attestazione che renderà inattacabile il grado e lo spessore artistico e culturale raggiunto attraverso la sua opera e il suo genio. Ancora tutto in ordine, a quanto pare, nel ragionamento lucido dello scrittoreX! Passiamo ai punti o requisiti successivi indispensabili:

3) Sarà fondamentale una copertina curatissima, mozzafiato. Con una grafica ultraprofessionale;  con i caratteri del nome del signor X molto grandi, centrati, ad attestare l'importanza del nome, del suo suono, del suo magnetismo. Del suo spessore.

4) Pretenderà inoltre una grossa distribuzione, qualcosa di capillare. Il libro del signor X deve essere reperibile dovunque. Nelle più grandi librerie, in quantita industriali, per sopperire alle innumerevoli richieste, dalle grandi città al piccolo paesino di montagna.

5) Ancora lo scrittore X:" Un editing con i fiocchi. Tutto dovrà essere curato a livello maniacale. Ma dagli addetti ai lavori. Come accade con gli scrittori veri, ma adesso anche io sono uno scrittore vero! Curato dai professionisti del settore, che saranno al mio servizio. Io aspetto che loro finiscano, per poi godermi lo spettacolo della mia opera! Più avanti poi si parlerà di traduzioni, naturalmente. Per ora c'è tempo".

Ecco, orientatvamente, in questa fase molto delicata e singolare dello scrittore X, (anche se con le dovute e iperboliche accentuazioni del caso), dentro il suo animo e dentro la sua testa le cose starebbero più o meno così. Attestazioni, riconoscimento di un valore, che siano valori di per sé e che di per sé vivano di una loro autonomia e indipendenza dal valore intrinseco eventuale dello scritto e della sua poetica – senza ancora maturare il pensiero che questi fattori dovrebbero essere una conseguenza di un riscontro dell'opera e della sua eventuale qualità letteraria, e di una serie di caratteristiche che le attestino prima di tutto, nel silenzio e nell'ombra delle quinte, un valore persuasivo, una sua forza e autenticità, dopo un lungo vaglio e anche una lunga attesa, probabilmente.
Se gli elementi di questo cristallo, che lo scrittore X matura in una sua lenta incubazione onirica, vengono normalmente meno, – di solito quasi tutti, simultaneamente – allora lo stesso scrittore piomberà da una fase delirante di entusiasmo, in una crisi profonda, dove gli obiettivi del suo odio di solito trovano due linee piuttosto precise:
1) "Sono un genio incompreso. Ho subìto una grande ingiustizia. La mia esclusione è un'enormità! Quello che è successo è terrificante! Sono degli incompetenti". In questo primo punto includiamo anche gli improperii contro tutti gli scrittori, quelli che già X aveva immaginato compagni razzatori di scuderia attraverso i quali inorgoglirsi, ma che invece, ora che vi sono  rientrati senza di lui, allora l'odio e la rabbia dilagano anche contro di loro e nello stesso modo dilaga il vittimismo.

2) Oppure, in un secondo caso, il nostro signor X potrebbe reagire così:"
"Allora forse sono io che non funziono? Possibile che davvero abbia sbagliato tutto? Non so scrivere come gli altri, forse? O saranno gli altri a essere soltanto più fortunati di me!  Ma, a questo punto, io non sono ancora uno scrittore di razza! O forse non sono nemmeno uno scrittore comune? Altrimenti non avrebbero avuto dubbi! Ma come è possibile che con quello che ho scritto sia rimasto fuori, senza ottenere nessuna attestazione importante dei miei meriti? Gli altri invece ce l'hanno fatta. Ora hanno l'attestazione giusta per distanziarsi dal ghetto degli scrittori comuni. L'ultima cosa che vorrei essere è uno scrittore comune. Uno del ghetto! Allora sarà forse colpa della mia scrittura? Nemmeno lei sarà di razza se non è di razza lo scrittore?" E anche in questo secondo punto possiamo includere una serie di fasi complesse, nelle quali in queste elucubrazioni e vacillamenti si paventa anche il fatto di aver trattato un genere in modo troppo contorto o superiore al livello del pubblico, a livello stilistico, per esempio, o forse che il genere di quell'opera non vada più di moda e non sia adatto per accedere a quei circuiti letterari che lo scrittore X riconosce come compatibili per soddisfare le sue forme di appagamento e la sua dignità di artista e di persona. In quella situazione, dopo lo sconforto profondo dei primi giorni, o anche mesi, poi il nostro X si rimbocca le maniche, sperando che cambiando musica o canzone anche le possibilità del suo ingresso nell'Oilmpo diventino più probabili. Scrivendo quindi, non più cose che sente dentro, non quelle che rappresentano l'autenticità e la natura espressiva dello scrittore X, ma quelle che lui crede o che immagina compatibili e appetibili per quel mercato di attestazioni di valore che gli è stato negato e al quale ancora lo scrittore ambisce. È come dire: adesso sarò io a muovere un passo verso il mercato. E vedremo se sarà come credete! In questa fiammata rincuorante, lo scrittore X si consola cercando di seguire le orme degli eletti, di coloro che hanno ricevuto gli attestati importanti, con una pubblicazione importante. E disperde le sue energie nel trovare quei contenuti, che rivelino lo stesso magnetismo e la stessa forza persuasiva degli scrittori eletti, quelli di razza presenti nella scuderia e non certo quelli del ghetto, per imparare a rientrare nei canoni giusti, allontanandosi dalla sua voce naturale, dalla sua unicità. Cercando di ottenere la chiave magica. 
In questi due punti, con le loro diramazioni, si consuma la dannazione dello scrittore X. I suoi orizzonti, i suoi interessi, tutta la sua ricerca, non sarà orientata all'interno del suo mondo espressivo, emozionale e spirituale con il quale mettere in gioco e maturare i suoi strumenti nella costruzione di un progetto originale, come faceva perdendosi nella sua officina incantata! Nulla di tutto questo! Dopo lo sconforto per il rifiuto, ora prevale solo la ricerca assatanata e strategica per ricevere quell'attestato di pubblicazione e di ingresso in un regno inattaccabile e prestigioso che gli è stato ingiustamente negato. Tutte le energie saranno profuse in quella direzione, l'unica perseguibile. Ora non ci sarà altro da fare, ormai! È l'unica strada da seguire. Il tempo stringe.
E dato che il tempo stringe anche per me, a questo punto mi fermo.
Un saluto e alla prossima.








venerdì 23 settembre 2016

Riflessioni sparse sul senso della pubblicazione, dell'autopubblicazione e della non pubblicazione (Parte III)


Lo scrittore Mario Vargas Llosa

 Partirei con un pensiero dello scrittore Mario Vargas Lllosa,  su cui rielaborare il discorso e  poi riagganciarlo all''interno della nostra traiettoria:

" [...] I premi, il riconoscimento del pubblico, le vendite dei libri, il prestigio sociale di uno scrittore hanno un percorso sui generis, quanto mai arbitrario, perché talvolta evitano tenacemente coloro che più li meriterebbero, e assediano e opprimono quelli che li meriterebbero molto meno. Perciò, chi individua nel successo lo stimolo essenziale della propria vocazione, probabilmente vedrà fallire il proprio sogno e confonderà la vocazione letteraria con la vocazione per gli splendori e i benefici che la letteratura concede ad alcuni scrittori (molto pochi). Sono cose diverse. Forse l'attributo maggiore della vocazione letteraria è che chi la possiede vive l'esercizio di quella vocazione come la sua migliore ricompensa, superiore, molto superiore a tutte quelle che  potrebbe ottenere come conseguenza dei suoi frutti".

In questo modo sprofondiamo nel pieno della questione. Nel suo cuore, direi. Il gioco è questo: bisognerebbe investigare quello che davvero sia predominante in questa attività, che non sempre e necessariamente sarà vissuta nello stesso modo da tutti gli scrittori, questo d'altra parte sarebbe assurdo. E non è detto, quindi, che sia per tutti una reale vocazione, ma qualcosa di lievemente o abissalmente diverso, semmai anche per tutti coloro che si sentono intimamente "vocati" allo scrivere, potrebbero esservi delle sostanziali sfumature nelle intenzioni, per esempio. Una vocazione che potrebbe spingersi su litorali diversi, quindi meno spirituali e più materiali, forse. Abbastanza diversi, direi, da quella "vocazione" legata alla letteratura come principium. Questo è un elemento fondamentale su cui riflettere. Cercare di interrogarsi dentro e capire da che parte si sta. Di cosa si parli e quindi di cosa poi si scriva. Quale sia la fibra di questo seme. Prima di ogni passo, di ogni programmazione.  Qual è la mia vera vocazione? Per cosa io mi sono impegnato, dannato, annientato? Che cosa mi aspetto, adesso? Cosa c'è da aspettarsi, soprattutto? O forse, per alcuni, da pretendere?
Dunque:
non credo che al momento attuale, per quello che sia lo stato delle cose, a livello dello scenario socio-culturale e artistico del nostro paese, per uno scrittore X che si accinga a combattere per cercare, oltre all'appagamento naturale,  una reale condivisione dei propri lavori letterari, vi siano delle certezze, delle possibilità che lo portino a considerare la percezione del suo seme in relazione alla possibilità di un concreto e adeguato riscontro del suo frutto. Giocano troppi fattori contro, diversi, molti o una buona parte del tutto estranei alla letteratura e quindi dal seme e dal frutto e dall'albero su cui si organizzerebbe il campo di questa vocazione, purtroppo. Troppi, davvero, e spesso impenetrabili per potersi affidare a questa possibilità come a qualcosa di raggiungibile nel concreto, in base all'esercizio profondo della propria vocazione, come della propria sincera abnegazione vissuta all'interno della propria officina incantata. Tra l'altro, al di là delle componenti extraletterarie accennate,  non tutti i semi avranno lo stesso frutto e matureranno allo stesso modo. Le condizioni climatiche avranno la loro inevitabile influenza. Così come la qualità di un seme potrebbe essere pregiudicata da un terreno troppo argilloso o male esposto, per quelle che sarebbero le sue caratteristiche, per le sue inclinazioni, fragilità o tendenze vitali innate di espansione. O potrebbe capitare che un passero atterri e dopo un paio di saltelli  se lo ingoi. E allora? Amen! Anche questo va messo in conto, signori!
Questi elementi con tutte le loro possibili varianti, li avvertirei già sufficienti come adeguato approfondimento sull'esplorazione del suo movente. Su quelle che potrebbero essere le condizioni per continuare, sapendo che lo scenario che si prospetti sia questo se non peggiore: la certezza del vuoto, o la flebilissima possibilità di qualche riscontro, molto tiepido, incerto, impermanente, se non illusorio o al limite del tutto casuale. Instabile, come lo è il tempo e come lo è la vita, sia di un artista che di una persona comune. A volte anche il talento lo è.
Penso che questo atteggiamento di fondo, sempre per il nostro caro scrittore X, sia già una prova importante per conoscersi, per capire meglio i suoi orizzonti e le sue caratteristiche di specie per resistere a queste circostanze avverse, al di là del suo valore, di quello che egli avverte come valore in quello che fa o in cui si crede capace e riconoscibile, semmai molto più capace di altri, per un quadro particolare che si è cristallizzato nella sua mente – altro dramma molto comune, purtroppo, e lì si apre un altro doloroso capitolo.
Ma una volta appurata la reale impossibilità, quanto meno a breve, brevissimo termine, di una condivisione del proprio frutto, questo cosa vorrebbe dire per i suoi programmi? Scrivere lo stesso, sapendo che sarà difficile, se non impossibile riuscire a pubblicare, almeno come lui vorrebbe?  Per cui, come diceva Vargas Llosa, godersi come ricompensa lo stesso atto creativo e di per sé liberatorio, riconoscendogli un suo valore intrinseco e assoluto, quindi incondizionato? O forse questo potrebbe non bastare? Non essere sufficiente e quindi nemmeno avvertito come qualcosa di giusto e di certo inadeguato per appagare tutti gli sforzi, i sacrifici offerti a questa misteriosa divinità, che lo costringe a immolarsi, togliendogli tempo, luce, spazio vitale e respiro, ma senza dargli ancora niente di sostanzioso in cambio? Nemmeno una minima prova che quello che ha fatto abbia un  senso e quindi che meriti un piccolo spazio da qualche parte? (È chiaro che in questo secondo caso ci imbattiamo in una tipologia di scrittore piuttosto diversa dalla precedente, ma che credo rappresenti una buona se non cospicua quantità di aspiranti scrittori. Questo a mio modesto parere, o per quello che sono riuscito a capire guardandomi intorno, sia in rete che nelle strade della mia vita, è parte del quadro attuale. Parlo di uno scrittore X che si basa solo sul suo tormento o eventuale talento di scrivere, senza avere altro oltre quello.
Scrivere, sapendo che non sarà per niente facile pubblicare, se non impossibile, secondo i criteri tradizionali dell'editoria, – dubitando nel contempo, in seguito a questi ostacoli, che forse sarà il suo talento, se non la natura della sua voce a non funzionare, a non essere adeguata nemmeno per concedersi una piccola pubblicazione, se non quello di chi lo ha eliminato – sarà ancora possibile? Di farlo con lo stesso ardore con cui lo faceva?  Ancora prima di confrontarsi e di svelare l'arcano? Il quadro nero e reale delle cose? Avrebbe ancora un senso?
Stavolta mi fermo qui. Per la lunghezza media di un post, stavolta preferisco non trasgredire troppo le regole di gioco, come invece faccio di solito in queste riflessioni sparse nelle quali perdo davvero il  controllo e il senso del tempo e dello spazio, e rimandare lo sviluppo ulteriore del nostro tema al prossimo incontro.























giovedì 22 settembre 2016

Riflessioni sparse sul senso della pubblicazione, dell'autopubblicazione e della non pubblicazione (Parte II)



Dopo l'introduzione della parte prima, entrerei meglio nel vivo della riflessione, quindi: il senso della pubblicazione, in tutte le forme più o meno contemplabili. Una volta appurato che la scrittura faccia parte della mia vita, sia qualcosa come ho detto con cui fare i conti, da accudire con una certa responsabilità, che cosa farne, dunque? Condividerne i frutti, naturalmente. Il più in fretta possibile. Quando tutto sarà in ordine, ho bisogno di aprire il sipario e mostrare la scena a cui ho lavorato per mesi, o anche per giorni, per il tempo necessario a completarla nel migliore dei modi. Ho sistemato con cura le luci, l'arredo, lo spazio d'azione, i colori. Ogni parte del copione è stata studiata fin nel più piccolo dettaglio. Mi sono servito di scenografi impeccabili, per non parlare dei costumi. I miei personaggi sono affascinanti, eleganti, con delle storie pregne di drammi, di mistero, di grandi passioni. E come scendono a pennello quegli abiti e che acconciature! Adesso tutto questo deve essere visto. Alziamo il sipario! Non ne posso più! Per favore, signori. Si abbassino le luci. Tacciano le voci:
A questo punto mi fermo.
E parlo ancora per me, naturalmente. Quanto il mio processo di scrittura sarà relato con la sua condivisione? Con lo svelare l'interno del suo scenario? Intendo: quanto sarà condizionante l'urgenza di una condivisione? La sua indispensabilità? Mi inoltro ancora: quanto sarà davvero appagante l'atto dello scrivere,  il gesto più puro, successivo alla rottura del silenzio e quindi la fedeltà e l'abbandono al suo impulso, alla sua vocazione, al di là del fatto di poterlo o meno condividere, o anche di saperlo, in partenza, sicuramente condiviso? Questo appagamento dato dalla scrittura, quindi,  in questo esercizio creativo, potrebbe mai prescindere dalla sola idea della condivisione? E che senso avrebbe la mia vocazione, se non contemplasse una pur minima linea di sguardo, di riscontro o di ascolto condiviso? Farlo per se stessi cambierebbe tutto, non ci sarebbe gusto, non ci sarebbe gioco o vocazione, forse? Perderebbe di senso e di mordente, possibile anche questo. O forse sarebbe come studiare l'argomento di un libro sapendo che il giorno dopo avremo un esame, con una commissione severa, rispetto allo studiare quello stesso argomento di quel libro, sapendo che però nessuno mai ci interrogherà, semmai senza nemmeno frequentare un istituto scolastico dove acquisire attestati e metterci in gioco. Di sicuro le mie conoscenze saranno ugualmente arricchite dallo studio di quell'argomento, se in entrambi casi mi ci dedicherò, ma quanto starò davvero dentro, nella profondità di quello che avrò studiato, quanto me ne imprimerò senza la paura e il condizionamento di un confronto, come quello di un esame, quindi? Scrittura, allora, secondo questo ragionamento di partenza, sarebbe allora un moto naturale espressivo, mirato e murato nelle sue intenzioni alla sola condivisione, alla comunicazione e interazione, più o meno profonda, da instaurare necessariamente con altre persone, o forse mi sbaglio? Almeno come primo impulso, è mai possibile che uno scrittore non preveda un minimo riscontro? Può sembrare ridicolo, tutto questo, ma non proprio del tutto. La nebbia si addensa in ogni passaggio di questo percorso, e io allora cerco di muovermi con circospezione e prudenza.
Quindi, su questi primi elementi potremmo cominciare a inquadrare la scrittura come attività naturalmente finalizzata e interconnessa a una relativa possibilità di lettura, lettura come elemento intrinseco alla sua stessa ragione di esistere come attività e vocazione, qualcosa di attivo mirato a una risposta o reazione, alla necessità di uno sguardo passivo ma anche attivo, con il quale relazionarsi, e attraverso il quale trovare gli stimoli per continuare a scrivere, ma sempre in balìa di un altro essere umano che in qualche modo diriga il nostro movente e ci consoli o ci condanni. Possibile.
In soldoni: quando si scrive si sognerà quasi sempre, a qualsiasi livello, di essere letti, ascoltati, anche un po' amati, solo per gioco. Di far sì che parte del tempo e della dedizione profusi in questa faticosa attività, si prenda anche del tempo da un altro, che senta di restituire anche quella nostra dedizione e fatica con il suo ascolto, il suo sguardo.
Ma si scriverà soltanto per provare la sensazione sospesa e irreale di questo sogno, spesso irrealizzabile, che potrebbe consolare quanto se non più dell'essere letti? O esclusivamente per realizzare in pieno e a tutti costi questo sogno? Come se la realizzazione di questo sogno fosse l'unico reale significato, l'unica ragione d'essere del mio scrivere, della mia vocazione allo scrivere? Il suo senso, la sua genesi, il suo movente?
Ma in fondo, mi chiedo ancora: senza questa realizzazione, l'atto dello scrivere potrebbe essere giustificato come qualcosa di prezioso, di importante per la mia vita e per la mia maturazione interiore, anche senza la certezza d' ascolto diretto di un lettore, e di un suo consenso, senza la possibilità di convincere il suo sguardo – o carezza di sguardo – a posarsi sulla mia pagina? Scrittori veri e realizzati saranno allora tutti coloro che cattureranno occhi, interessi, attenzioni più e prima degli altri, rispetto a tutti quelli, irrealizzati, che non riusciranno a condividere con nessuno i propri scritti? Sarà quello il valore di uno scritto? La sua velocità e docilità di interazione? Secondo questa linea non basterà scrivere più o meno bene, quindi, o possedere nel proprio intimo questa vocazione, ma carpire invece e a tutti i costi, l'attenzione di chi legge il più possibile verso il proprio mondo espressivo, che senza quest'attenzione sollecita non avrebbe ragione d'essere? È proprio così, allora? E infine: sarà merito della mia scrittura e della profondità della mia vocazione o sottomissione a scrivere, se la stessa sarà condivisa con più facilità e successo rispetto a quella degli altri, quella irrealizzata, secondo i canoni della condivisione, o invece il merito lo dovrò alle caratteristiche della mia persona, intendo alla mia storia, alle mie abitudini, alla ricchezza e alla ricercatezza dei miei contatti, delle mie frequentazioni? Del mio successo anche da non scrittore, intendo. Possibile che uno scrittore, o persona dedita alla scrittura, molto amato in partenza come persona, al di là delle sue parole scritte, condividerebbe con la stessa facilità del suo romanzo un successo schiacciante nelle sue relazioni, per una svariata serie di ragioni, per cui sarà circondato da consensi,  perché ogni giorno e ogni sera avrà una casa, e quindi una vita, piena di amici che lo amano e gli riscaldano il cuore, una terrazza che dà su di un panorama mozzafiato, una sorella maggiore con un culo grandioso e  per finire la scheda Premium per le partite di serie A? Una persona che raccoglierebbe la tensione dell'orecchio appena prima che apra bocca? Che per ogni passo incontra sorrisi, consensi, e che è immerso nella bellezza e nella ricchezza delle relazioni, per le sue caratteristiche, la sua natura o anche vocazione alle relazioni e a quel certo magnetismo contemplabile nelle relazioni? Possibile che qualsiasi cosa questo signore faccia o proponga sarà ascoltata e valorizzata per il successo relazionale pregresso della persona nel suo insieme? Come per il calore delle sue relazioni umane, vissute e ormai stagionate senza il filtro misterioso della parola scritta, per esempio? Per quanto le abbia coltivate nel tempo, da sempre, con grande cura, dedizione e serietà? E ponendo il tutto anche su particolari campi e ambienti professionali? Attenzione, che non penso che questo sia un delitto, assolutamente no! È una semplice condizione. Stiamo soltanto ragionando sulla possibilità di una condizione. Senza giudicare o sentenziare, naturalmente. Stiamo cercando di esplorare le condizioni e le connessioni di un prototipo, di una possibile e immaginaria persona, e del suo mondo che in partenza lo ascolta, lo elegge e gli sorride, al di là dell'esercizio o della sua presunta vocazione di scrittore. Non parlo di un personaggio pubblico o famoso. Ma di una persona come tante, che ama scrivere e nello stesso tempo vive una vita organizzata in un certo modo.
Un altro stop!
A questo punto comincerei a mettere ordine, credendo che si possa considerare una costante, anche per i più scettici e solitari asceti della scrittura, l'importanza del solo pensiero di uno sguardo, che possa incontrare il frutto delle proprie parole, in qualsiasi modo questo avvenga. Questo rapporto con il buio di questo sguardo, con la carezza di uno sguardo, direi, personalmente ha accompagnato fin dall'inizio la mia dedizione allo scrivere e anche il rapporto con la mia solitudine dello scrivere, che è un altro fattore essenziale della mia esperienza. Ho sempre pensato alle mie parole e a uno sguardo lontano, o forse vicino, a cui queste parole in un certo modo sarebbero forse un giorno arrivate. Uno sguardo che poteva e potrebbe includerne centinaia. Un elemento attrattore e silente che in qualche modo avrebbe operato dei cambiamenti nelle mie scelte, perché era altro dal mio. Non era me, ma era qualcosa di esterno e quindi di estraneo al rapporto che il mio sguardo aveva con la genesi e il mistero delle mie parole scritte in solitudine, senza testimoni vivi al di fuori di me.
Scrivere o pensare di scrivere unicamente affidando la fatica immane di quest'operazione, solo al mio sguardo, vorrebbe dire perdere tutta la tensione e il mistero dello slancio, anche di un solo pensiero immmaginato verso un possibile ipotetico destinatario. Dal momento che il mio sguardo non sarà mai completo e accattivante quanto quello di un altro. Direi anche appagante, solo come uno sguardo estraneo può esserlo nei confronti di un nostro pensiero scritto.
Lo scrivere è come l'amare. Ha bisogno sempre di un altro. L'amore non esiste da solo. Anche l'amore per Dio, ha bisogno di Dio, anche del silenzio o del vuoto lasciato da Dio, ma di un altro elemento che sia esterno a noi, al nostro esser soli nella scrittura dei nostri segni. Credo che sia fondamentale soffermarci su questo passaggio. Il rapporto con la sensazione di questo sguardo altro, è una sorta di imprescindibile elemento vitale, che potrebbe condizionare profondamente, nel bene  e nel male, il senso di questo intento e lo sviluppo della nostra scrittura, del nostro modo di sentirla e di attraversarla. Se credo di conoscere chi si cela dietro lo sguardo di chi vorrei che mi leggesse, (non credo che tutti gli sguardi siano uguali. Per ciascuno scrittore vi saranno sguardi più importanti, incombenti, davanti ai quali ci si sente forse più fragili, o anche più importanti), potrei optare nelle mie scelte, a una sorta di restringimento severo dei mei orizzonti e possibilità, in modo da confezionare su misura quello che piace, le luci preferite da quello sguardo amico che incontrerà i confini delle mie parole. Intrattenermi quindi dentro un certo gusto, avvicinarmi a quello che conosco, di profondo o anche di superficiale o di quello che immagino e sogno di captare da quello sguardo, che già immagino posato sulle mie parole, proprio mentre le scrivo. Questo significherebbe orientare il mio sforzo creativo in una missiva che vada dritta verso un certo territorio, con determinate latitudini, temperature e caratteristiche. Altrimenti quello sguardo non si poserà più sulle mie parole, si stancherà e si sposterà altrove. In un territorio diverso, più amico, direi. Secondo questo ragionamento, quindi, per chi scrive sul serio, e conosce sguardi di persone amiche con una certa profondità, potrebbe avere garantita l'attenzione, la fiducia e il necessario incantamento amico, che è alla base del patto misterioso di alleanza tra uno scrittore e il suo lettore. La fiducia. Una sorta di fiducia incondizionata, legata al fatto che quelle parole sono misurate su una certa caratteristica, una particolare sensibilità. Potrei lavorare a un racconto, imponendomi di organizzarlo per lo sguardo amico, a cui sono certo andrà, e accontentare quello sguardo e nell'accontentarlo trovare il mio senso, il mio appagamento, e quindi ritrovare anche un rapporto diverso con la mia creatività, sapendo che su questa linea attraverserà dei confini sicuri. E allora mi direi: sono stato bravo, in fondo. Scrivo, ma non solo per il mio sguardo, ma per quello di un altro, che sa di potersi fidare ciecamente delle mie parole, dal momento che le mie parole conoscono le sue luci, le sue inclinazioni, la sua sensibilità, e non potranno mai deluderlo o abbandonarlo. Quindi incontro con il frutto anche acerbo o non perfetto di un mio scritto, un altro sguardo, ma per trattenere questo sguardo, che in fondo conosco, la mia scrittura dovrà adeguarsi alle sue scelte, alla sua vita. Sarà lo sguardo del mio primo lettore a condurmi. Lo accontenterò e lui mi proclamerà scrittore. E da quel primo sguardo, potrei ottenerne a milioni, basterà che il mio scritto disegni cose belle da guardare. Che impari dove si posino gli sguardi degli altri, sia molto attento a cogliere le espressioni degli occhi di fronte ai colori, e in questo modo potrò già selezionare i toni e i cromatismi delle mie prossime tele. Poco a poco la mia scrittura avrà il colore adatto per lo sguardo destinatario. Ma questo sguardo destinatario non sarà arrivato dal nulla. Dovrò sempre fare riferimento ai primi occhi, a cui ho dedicato le mie parole, che a loro volta mi presenteranno altri occhi, con cui cercherò di centrare lo stesso effetto, sempre a condizione di battere territori amici, con una scrittura amica.
È questo lo scrivere? È questo il leggere? Ma davvero?
Con queste due domande, concludo la seconda parte di questo tortuoso percorso sul senso dello scrivere  soprattutto sul senso del pubblicare. Sto cercando di farmi luce anche io, mentre mi conduco con lentezza in avanti nel tema, dal momento che la situazione non è poi così semplice, come in apparenza potrebbe sembrare.
Alla prossima:








mercoledì 21 settembre 2016

Riflessioni sparse sul senso della pubblicazione, dell'autopubblicazione e della non pubblicazione (Parte I)


Partirei da una mia riflessione personale, prima di addentarmi (non è un errore: volevo proprio scrivere addentarmi e non addentrarmi) sul senso della pubblicazione, con una domanda molto, molto semplice, che faccio a me stesso: perché io scrivo? Anche solo questo post. Esiste una finalità precisa? È solo un passatempo? O forse una profonda necessità di espressione, di espansione di un qualcosa che sale e che avverto irrompere dal mio interno e che andrebbe a tutti i costi condiviso prima che esploda e che mi sbalzi in aria con lui? O è un malinconico capriccio di presunta bravura, se non un pietoso arrampicarmi sugli specchi rotti di un linguaggio masticato da scrittori e da libri molto amati, che in qualche modo ho sognato di far rivivere attraverso l'impatto della mia unica mano, quasi a voler emozionare per quanto si è stati emozionati un tempo? A volte si è presi da qualcosa di profondo e di molto bello, che un'esperienza letteraria intensa può aver regalato, e non si ha il tempo di assorbirlo, di assimilarlo, che subito scatta una voce tagliente che dice: "voglio farlo anche io, così! Sento di esserne in grado!  Chi mi impedisce di provarci? Che cosa mi costa? In fondo che cosa avrei da perdere in un tentativo del genere, per quanto sia alta e grandiosa la posta in gioco, poi? E allora adesso mi incazzo e scrivo forte. Scrivo da duro, nella furia più nera, scrivo davvero di brutto, da far male. Sono convinto che se arriverò a creare tutto questo, allora sarà diversa la mia vita. Ma anche l'idea che avranno gli altri della mia vita, della mia storia e di tutto me stesso. Cambierà in meglio. Basterà poco, senza nemmeno uscire dalla mia camera, seduto, posso inventare e direzionare la mia vita per come davvero la vorrei. Diventare un imperatore. Sarò l'autista dell'autobus di lusso della mia esistenza e da ogni finestrino scorrerà una storia, che solo la mia vita ha generato e che diventerà indimenticabile per tutti i viaggiatori che si affideranno alla mia guida e al mio viaggio. E poi un giorno, nemmeno troppo lontano, essere visto, percepito, celebrato, amato, valutato per come ho sempre desiderato, attraverso l'atto sublime della mia scrittura! La mia vera essenza! E attraverso la mia capacità di emozionare e di avvincere chi incontrerà le mie parole, svelerò tutto il meglio di me, a dispetto di quello che è stato frainteso, sottovalutato o non ancora compreso o amato. Dirò finalmente di quello che sono e che valgo, a dispetto di quello che tutti ancora credono in relazione a chi io sia e a che cosa misera ancora io valga, per non averci provato sul serio, a scrivere, come si deve. Anche una sola frase, se appiccasse l'incendio in un solo animo, nella profondità di un solo cuore, nel modo e nel punto giusto, potrebbe creare intorno alla mia figura, – mi direi, ancora preso da questo delirio spaventoso – una certa aura di ammirazione, che potrebbe diventare soggiocamento, o semmai anche invidia, incanto,  desiderio di potere quello che io ho potuto, di realizzare quello che io ho realizzato, per esempio". Di certo, – potrei ancora immaginare e dire, ancora fuori di me, ma chi non ha mai pensato almeno un istante in questi termini –  che da quel momento non risulterei per niente più inutile e nemmeno indifferente agli occhi grigi degli altri, come mi sento invece di esserlo ora. Sarei una persona degna di rispetto e questo rispetto imparerei col tempo a pretenderlo come a proteggerlo. In breve potrei non farne più a meno di questo rispetto, e comincerei a sentirmi soffocare al solo pensiero che le mie parole non abbiano il dovuto rispetto e la precedenza assoluta su tutte le altre e che poi attraversino almeno per un minuto al giorno quell'animo trafitto e toccato, che una volta mi ha gratificato con un piccolo commentino, così esile da spezzarsi, ma riducendomi suo schiavo, in attesa spasmodica, fino a tarda sera, davanti al mio computer, che mi arrivi un suo timido segnale in cui mi venga detto: "Adesso puoi andare a riposare. Ti ho letto, ma ti sto ancora leggendo, fidati, amico scrittore. Tu adesso andrai a dormire e continuerai a vivere nei miei pensieri e nei miei occhi lontanissimi, attraverso la mia lettura che si perderà nella tua scrittura, e allora presto avverranno dei miracoli. Domattina l'aria sarà diversa, ma anche stanotte, ci saranno più stelle, per colpa delle tue parole finite nella mia vita...".
O ancora: "scrivo perché scrivendo utilizzo uno strumento raffinato e antichissimo, che mi inserisce in un flusso sterminato sfatto dallo scroscio di testimoni illustri, che hanno ottenuto dalle loro parole molto più amore dagli altri e insieme molto più potere. Molta fama,  moltissima meritata fortuna, altrettante comodità e quindi tutto quello che di più bello si potrebbe mai desiderare, anche il nome di una strada – quale scrittore al mondo non ha mai sognato che un giorno, alla sua morte, una delle strade della sua città possa prendere il suo nome d'arte, o anche il suo nome e cognome?  Potrebbe accadere, perché no?"
"O scrivo e scriverei, anche soltanto per abbattere il muro della noia, quindi per ammazzare il tempo, un tempo inconsolabile e grondante di tenebre, in una vita che diventa pesante e che a volte spezza il fiato; ma anche farlo con un intento più fisico e dimostrativo,  meno spirituale e idealistico: utilizzando la mia scrittura come un esercizio di forza o di abilità. Il mostrare il muscolo ben teso, alzando la maglietta, con un bel paragrafo, come tatuaggio di una frase decisa, a effetto, marchiata a fuoco sulla carne di chi la incontra!". 
E andando ancora avanti, instancabile: "scrivere, scrivere, scrivere... forse per compensare tanti altri fallimenti, proprio quelli che vorrei cancellare nella memoria degli altri. Quelli che vorrei non fossero mai esistiti: ne ho vergogna, ma che in qualche modo andrebbero soffocati per bene con qualcosa che li renda per sempre invisibili, qualcosa di accecante, come le parole. Le mie parole!".
Detta così, con questa teatralità, questa scorsa, in parte tragicomica – ma che avverto molto comune e possibile risuona molto vicina a un'ossessione, a una malattia. Una sorta di condizionamento e di schiavitù. Ma la scrittura è anche una profonda ossessione e una leggera schiavitù, per alcuni più di altri – in fondo un percorso creativo non è mai troppo lontano da una forma ossessiva e condizionante, che conduce spesso all'isolamento e all'autocelebrazione, un po' come tutte le eccessive passioni o forme particolari di invasamento. E volendo ancora affondare nelle supposizioni: "che cosa si nasconderà ancora dietro l'ossessione per le parole, per le mie sole parole, altrimenti? Il mio senso? Il sale della mia vita? Il suo carburante, o forse soltanto una delle tante passioni malate, che possono dannare un essere umano, in una certa fase della sua vita? Come potrebbe accadere con delle donne meravigliose, o con le corse dei cavalli, i titoli in borsa, l'allevamento sportivo dei canarini? Parole che partono da dove, poi? Da quale parte lontana di me? 
Potrebbero esserci risposte diverse,  per le rispettive domande o provocazioni con cui ho aperto questa mia riflessione, che avverto scomoda e complessa, ma a mio parere utile per fare ordine almeno dentro le mie idee, i miei impulsi e le mie vanità, in modo da poter parlare con meno peso e confusione
In fondo, e adesso ritorno in me, non ho certezze sulla mia scrittura. Intendo sul motivo per cui mi accosto e mi sprofondo nel demone dello scrivere, nella sua "maledizione". Mi è stato molto semplice giocare a domandare e mi sarà molto difficile impegnarmi a rispondere. Perché a queste domande potrebbe non esserci una risposta o anche tutte le risposte e le conferme alle risposte già insite nelle rispettive domande potrebbero lasciare tutto com'è, nella stessa nebbia o nello spettro di quell'attività ossessiva e condizionante,  quel qualcosa di storto e di un po' anomalo, da correggere al più presto, in qualsiasi modo. 
Intanto la scrittura è entrata a far parte nella mia vita ed è qualcosa con cui devo fare i conti. Al momento non posso allontanarla dalla mia esistenza. Non ho mai pensato di allontanarla dalla mia esistenza, ma pur volendolo ora come ora non mi sarebbe possibile. Sarebbe come tradirla e tradirmi. Abbassare le luci in tutte le stanze fino a rabbuiarle del tutto. Sarebbe come opacizzare di colpo il mio scenario e rimanere alla finestra, immobile e senza parole, travolto dallo stesso gelo di quell'assenza, senza fiato e senza sguardo.  Muto.
Credo che esistano nella vita di ciascuno alcuni aspetti, – aspetti che possono essere cose, attività, situazioni, condizioni, circostanze, persone senza i quali la vita si fermerebbe. Non nel senso che si morirebbe, ma che si vivrebbe lontani dalla propria personale inclinazione alla vita, in modo meno intenso, perché sprovvisto di quella chiave di magia. Ma in quel momento quella chiave è tutto quello che sento di dire e di essere, mentre lo dico. Anche in un solo istante posso scoprire una verità lontana, anche con una parola. Un solo segno che ha spezzato il buio della notte.
E quindi, rinunciando per un caso o per un azzardo a tutto questo, o al nulla di tutto questo, perderei quella tensione vitale adeguata delle mie emozioni e dei miei sentimenti, ma anche la possibilità di investigarli, attraverso il giogo e il gioco dei segni, nel loro mistero e nella loro insondabile profondità. La scrittura, nel mio caso, la sento qualcosa di  religioso, di molto vicino a un percorso interiore, senza spazi di azione predefiniti, ma solo con un ardore e un chiaro intento di raccogliermi  nel rituale sobrio e inutile del gesto. Anche nella sua improbabile efficacia, quel gesto in quel momento è il mio lineamento più puro, il mio valore, a volte la mia idea o la mia ferita di Dio: l'amore per la parola, per il suo infinito insondabile, per tutto quello che tace di me parlando e che dice di me tacendo. Per la pace e il dolore del suo mistero e per il grande senso di libertà che la scoperta di un linguaggio può apportare in un'esistenza e nel suo significato sotteso, forse mai pronunciato prima. Un vivere orfano di questi impulsi, che questo strumento così complesso potrebbe ancora offrirmi, sarebbe come vivere assenti della giustà intimità di vita che sento di comunicare agli altri.  Anche a una sola persona, o anche a me stesso. Andrebbe bene lo stesso, così.
Nella mia vita la scrittura fa parte di uno di questi elementi portanti e fondamentali della mia intimità, che assicurano tenuta e tensione alla mia accordatura, alla mia prospettiva armonica di sguardo, al mio tactusQuesta complessa combinazione di tensione vitale, emozioni, sentimenti, ideali e religione,  è qualcosa di molto problematico con cui convivere e fare i conti – come scrivevo prima – un insieme armonico composto di più orbite tonali, che in qualche modo va accudito. Nel modo che io ritenga giusto e sensato per farlo. È in fondo una sorta di responsabilità, ma anche di rispetto per qualcosa che vibra e che non va spento.
Chiudo qui il primo punto di questa mia introduzione, quello che avvertivo necessario, prima di riflettere su cosa significa oggi, nel 2016 per me pubblicare, in tutte le sue possibili forme, tenendo conto di questi presupposti che mi riguardano e mi attraversano personalmente. Imprescindibili da ogni sviluppo.
Questa prima parte si esaurisce qui.