Vorrei cominciare a trovare
un metodo. Dalle mie situazioni più semplici, dagli orari, dalla disposizione dei
mobili, della tele, delle cassapanche, fino alle questioni più sofisticate e più sottili. I tempi di
veglia e di sonno, le disposizioni d'animo, le reazioni incontrollate agli eventi inattesi, i tempi di respiro e
di soffocamento agli spazi chiusi, la percentuale di cammino a piedi e di
devastazione sedentaria. Almeno uno o qualche aspetto tra questi, vorrei incanalarlo in un
approccio scientifico.
Ne parlavo giusto con Paul, poche sere fa quando lui mi
raccontava di come sistema i ragazzi prima del sonno, della scientificità delle
sue storie narrate, dell'origine dei contenuti più adatti per favorire il sonno profondo. Perché ciascuno
dei ragazzi di Paul ha un sonno diverso e personale, per cui non possono digerire entrambi, con lo
stesso risultato, storie uguali, anche se narrate dalla stessa voce. Per ognuno di loro un racconto, selezionato in
precedenza con la massima cura e attenzione dal mio amico Paul. E i due ragazzi di Paul crollano, ciascuno a suo modo, con la sua dose accurata di incanto benefico prima del lungo corridoio e dirupo notturno.
E allora Paul trova sempre il tempo di dedicarsi
alla moglie Aris, alla lettura, o a qualche faccenda privata. Lo fa sempre con un metodo. Un metodo rodato e impeccabile; e questa sua impeccabile metodicità lo rende sereno, molto più sereno e più libero di me, a volte anche meno umano di me – ma questo è un altro aspetto, che al momento non credo che conti.
Lo vedo sempre
molto radioso, il mio amico Paul: non mi è mai capitato di trovarlo depresso, o distratto o fuori
forma. Anche il suo corpo riflette l'ordine, la pulizia, la regolarità dei suoi tempi e delle sue scelte mirate, tutte metodiche e impeccabili. Tutto questo accade nelle
circostanze più svariate. Anche la sera di quel venerdì, lo avevo
appena sentito al telefono e sembrava tutto così in ordine e sereno, prima che
spaccasse in due il nasino della sua Vic, sette anni, la sua bambina più piccola, ma questo lo
sappiamo soltanto in pochi. È stato un gesto inconsulto, che neanche nessuno di loro
adesso ricorda più.
Sua moglie Aris, quando è ritornata e non li ha trovati in casa, perché erano
andati tutti al pronto soccorso, Paul con i bambini, mi chiamò disperata, perché non le era mai capitato
che Paul sparisse con i bambini senza avvertirla, senza nemmeno lasciarle un
biglietto sul frigo della cucina, come facevano sempre quando qualche imprevisto costringeva qualcuno di loro a cambiare orari, ad invertire la rotta. Invece quella sera Aris mi diceva di sentire, da come aveva trovato la casa, che stava accadendo qualcosa di strano, o che forse era già accaduta.
Mi diceva al telefono che vedeva gli oggetti diversi, raccolti in una luce cupa,
irriconoscibile, come se volessero parlarle, dirle qualcosa all'orecchio,di molto segreto o anche di molto sporco.
Io la ascoltavo, tra l'altro non
sapevo ancora niente di come le cose fossero andate, e poi la metodicità del
mio amico Paul non mi dava mai molte preoccupazioni, non avrebbe mai potuto darmele. Cercai di tranquillizzarla in
qualche modo. Poco dopo averla salutata, mi chiamò Paul. Lo fece con la sua
impeccabile metodicità. Una voce calma, riposata, appena un po' rauca.
Devo parlarti, mi disse Paul, ci
possiamo incontrare? Mi fece capire che gli era accaduto qualcosa che i suoi
metodi impeccabili non avevano previsto. Rimasi perplesso, soprattutto per la telefonata
precedente con sua moglie, per i suoi lunghi silenzi prima di abbassare.
Paul mi disse da dove chiamava e mi disse che i ragazzi
erano con lui e anche che il naso di Vic si era aperto nel taglio di una sua
mano come una scatoletta di tonno, e che adesso stavano mettendo tutto a posto
e che il suo figlio più grande era stato addestrato a dovere per caricarsi del
debito. Erano così piccoli, innocenti, i fratellini. Anche lì Paul aveva avuto un buon
metodo: lucido, freddo, impeccabile, naturalmente, senza che il suo ragazzino più grande avvertisse minimamente quel peso. Era stato iniziato, ancora una volta con metodo, a
non contraddire nessuna cosa che suo padre dicesse, né davanti ai medici né
davanti alla madre e a nessun altro. Tutto pianificato alla perfezione, anche in quel caso: che spettacolo! Tutto liscio come l'olio e Paul quella stessa
sera, sul tardi, mi raggiungeva a casa, dopo aver tranquillizzato sua moglie Aris che
l'incidente era rientrato e che ogni cosa era al suo posto, qualche sutura leggerina, appena qualche giorno di garza medicata, e che non conveniva punire il bambino, ma lasciar passare del tempo prima di affrontare l'argomento.
E per un attimo, seduto davanti a me, sul mio
divano nero, sembrava sfibrarsi l'apparato complesso del suo mostruoso equilibrio metodico. Non so che diavolo mi abbia preso, continuava a dirmi, è la prima volta che qualcosa mi
scappa da mano. Mi chiese del dottor Pops, quell'analista molto in gamba dove andavo a chiacchierare
tutti i mercoledì pomeriggio, giusto al centro della settimana.
Non ebbi mai il coraggio di chiedere a Paul che cosa era successo quel pomeriggio, con sua figlia Vic. Anche Paul non ha mai voluto raccontarmelo. Allora ho cercato di dimenticarlo con lui. Rimase molte ore in mia compagnia.
Una volta lo incontrai con la sua Vic. Li fissai, mentre sorridevo ad entrambi, e mi accorgevo di quanto dolore uguale dilaniasse nella poca luce di quel pomeriggio, nei loro occhi così simili e italiani, nel pallore dei loro visi. Erano due gocce d'acqua, Paul e la sua Vic. Adesso la bambina avrebbe iniziato la danza classica. Le scarpine, lo chignon e l'inizio di un altro sogno, di un altro prospetto metodico al destino di un suo consanguineo.
Non ebbi mai il coraggio di chiedere a Paul che cosa era successo quel pomeriggio, con sua figlia Vic. Anche Paul non ha mai voluto raccontarmelo. Allora ho cercato di dimenticarlo con lui. Rimase molte ore in mia compagnia.
Una volta lo incontrai con la sua Vic. Li fissai, mentre sorridevo ad entrambi, e mi accorgevo di quanto dolore uguale dilaniasse nella poca luce di quel pomeriggio, nei loro occhi così simili e italiani, nel pallore dei loro visi. Erano due gocce d'acqua, Paul e la sua Vic. Adesso la bambina avrebbe iniziato la danza classica. Le scarpine, lo chignon e l'inizio di un altro sogno, di un altro prospetto metodico al destino di un suo consanguineo.
Forse Paul era l'amico più silenzioso tra quelli di quel periodo
europeo. Ma forse il più affidabile, nonostante i suoi lati oscuri e tenebrosi: ero certo che non mi avrebbe mai messo in difficoltà con una parola fuori posto, con una
leggerezza. La sua austerità era strettamente legata all'impatto sistematico
che dava alla sua vita, alle sue regole. Gli era vitale, come la sinapsi di quel nasino
squarciato di sua figlia Vic, che appena guarito aveva ripreso la dolcezza invernale di una pista
da sci.
l.s.
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