Se fosse successo qualcosa dovrei sbrigarmela da solo e arrivarci sempre prima io. Come avviene con le buone notizie, anche con le cattive: c’è chi si espone sempre per primo, perché ha maggiore raggio di azione; forse maggiore resistenza, scaltrezza e autonomia in certe dinamiche o una certa maledizione nel cuore o nel destino. Così mi avvio, senza meta, senza telefono. Sperando che spunti un taxi con la sua mano che batte il vetro e mi saluta o forse la sua sagoma a piedi, sul primo tratto di curva, prima dei due pini. Con la sua solita andatura baluginante, le buste piene attorcigliate alle sue dita. Scorgo appena delle ombre, ma poi non c’è più nessuno, e sono passate già le nove e non ricordo nemmeno se mi abbia detto qualcosa prima di scendere. Cerco di ricordare e intanto oltrepasso la prima striscia di negozi già chiusi. Mi guardo bene da ambo i lati, prima di attraversare e ancora ricordando a vuoto, e poi rallento. Perché il traffico scema e allora quelli più violenti alla guida corrono come matti e finisce che poi ti falciano se non stai attento. Ci sono i lampioni muti, quando attendo ancora e il tempo passa e quasi non me ne accorgo. Quando mi si accosta al fianco destro, quella macchina bianca con i due romantici; quella che poco prima era parcheggiata davanti al mio cancello. Mi giro di scatto, e proprio in quel momento l’uomo che guida abbassa il finestrino e mi guarda.
lunedì 13 maggio 2013
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