Ci si circonda, spesso, di persone che ci vedono nella stessa luce nella quale immaginiamo di essere visti. Che ci reputano bravi nelle cose in cui crediamo e speriamo di primeggiare, importanti, utili. L' importante è che nella corte dei nostri interlocutori spicchino soggetti competenti ma spettatori, quindi artisti inutili e inefficienti, e che siano circondati nelle loro frequentazioni da persone inferiori a noi, o quanto meno all'immagine che ci siamo fatta di noi. Che sappiano distinguere la qualità della nostra seta rispetto alla melma circostante e che siano intimiditi dalla nostra possenza, dal nostro profumo, a tal punto da non lavarsi il palmo di una mano per giorni, dopo avercela stretta per qualche secondo.
Di fronte a un tale e conclamato successo, ci si diverte a giocare alla sottrazione, recitando un ruolo fasullo di ostentata umiltà che è ben lontano da quel comportamento di dominatori che ci gratifica e ci stabilizza, consentendoci di far perdurare quel tipo di frequentazione all'infinito, fin quando i conti tornino sempre a nostro favore e nessuna altra figura ci sostituisca o ci offuschi. In quel caso, nel caso di un'eventuale sostituzione, quelle persone non andranno più bene, molto spesso saranno maledette, allontanate, criticate allo sfinimento davanti ad altre persone che fino a qualche giorno prima erano oggetto di quelle stesse critiche.
Io sono fatto in modo del tutto diverso: non dico a molti quello che faccio di preciso. Lo faccio di nascosto, come qualcuno che sta rubando qualcosa nel buio. Eppure nella mia vita non ho mai rubato e non ho alcun motivo di nascondere nulla di quello che ho e di quello che faccio. Sono impaurito da me e ho sempre la tentazione di essere di troppo, di fare rumore, anche solo scrivendo.
Stamattina, parlando al telefono con una mia amica, che tra l'altro mi sta affidando un incarico delicato e molto importante, quanto emozionante e bellissimo, ma bellissimo sul serio – del quale avrò anche modo di parlarne, più in là – a un certo punto della conversazione le ho detto: non vorrei però che tu mi sopravvalutassi, qualcosa del genere.
Di fronte a un tale e conclamato successo, ci si diverte a giocare alla sottrazione, recitando un ruolo fasullo di ostentata umiltà che è ben lontano da quel comportamento di dominatori che ci gratifica e ci stabilizza, consentendoci di far perdurare quel tipo di frequentazione all'infinito, fin quando i conti tornino sempre a nostro favore e nessuna altra figura ci sostituisca o ci offuschi. In quel caso, nel caso di un'eventuale sostituzione, quelle persone non andranno più bene, molto spesso saranno maledette, allontanate, criticate allo sfinimento davanti ad altre persone che fino a qualche giorno prima erano oggetto di quelle stesse critiche.
Io sono fatto in modo del tutto diverso: non dico a molti quello che faccio di preciso. Lo faccio di nascosto, come qualcuno che sta rubando qualcosa nel buio. Eppure nella mia vita non ho mai rubato e non ho alcun motivo di nascondere nulla di quello che ho e di quello che faccio. Sono impaurito da me e ho sempre la tentazione di essere di troppo, di fare rumore, anche solo scrivendo.
Stamattina, parlando al telefono con una mia amica, che tra l'altro mi sta affidando un incarico delicato e molto importante, quanto emozionante e bellissimo, ma bellissimo sul serio – del quale avrò anche modo di parlarne, più in là – a un certo punto della conversazione le ho detto: non vorrei però che tu mi sopravvalutassi, qualcosa del genere.
Quando si parla o si dicono certe cose, non sempre le si controlla o forse quelle stesse cose che si dicono sono loro a prendere la parola alle tue spalle, a imbrigliare per qualche istante il tuo discorso e a dirottarlo. Come se fossi sempre attraversato, nelle mie elaborazioni, da un filo logico, più o meno continuo e coerente, e da una serie di altri frammenti di finzione o di metafinzione, spesso preconcettuali, che emergono e si intrecciano in contrappunto al primo filo.
Riflettendo su quello che all'improvviso le ho detto, riguardo alla possibilità o all'ipotesi di una sua eventuale sopravvalutazione della mia persona e quindi del mio operato, mi sono accorto che quel tipo di espressione non è stata affatto casuale, ma che poteva addirittura essere interpretata in più modi diversi – per mia fortuna avevo e ho a che fare con una persona intelligente, talentuosissima e tanto altro, quanto sensibile e generosa, per cui. In ogni modo: queste che seguono le possibili interpretazioni che darei io, personalmente, di fronte a chi mi dice "Non vorrei che tu mi sopravvalutassi":
1) Falsa modestia: mi sottovaluto per farmi tirare su, un po' su o anche molto, molto su; è una tattica molto diffusa per scoprire quanto ti pesa davvero chi ti parla. La stessa tattica funziona molto bene quando hai dall'altra parte soggetti che sono in tua adorazione, quelli che pendono dalle tue labbra senza sapere chi sei e dimenticando il tuo nome. Ma se qualcuno di questi non risponde come vorresti, e dice che in effetti non sei niente di speciale, confermando in un certo modo quello tu hai appena detto, il piano è fallito e si ritorce contro di te.
2) Mancanza totale di stima e di fiducia in chi ti dà fiducia. Se qualcuno si fida di me, di solito sa bene il perché lo fa. Se io gli dico "Guarda che non è come o quanto credi" un po' è come dirgli che non ha tanto fiuto, e quindi sono io che sottovaluto lui. Quando siamo noi stessi a ricevere un atto di fiducia, di stima, di generosità, spesso non riusciamo a distaccarci dalla nostra prospettiva claustrofobica di visione, e viviamo un nostro copione stracciato, per cui l'altro, di solito, è solo un tramite per dare voce al nostro piccolo show. (Quante ne ho viste e ne vedo, anche sulla mia pelle).
3) Reale mancanza di fiducia in se stessi: anche se di solito chi è davvero sfiduciato è difficile che si esponga e che agisca. Io non mi sognerei mai di fare una partita a biliardo, non avendo mai giocato e nemmeno avrei il desiderio di fare pratica in qualcosa in cui non sono ferrato. Mi dedicherei a cose più vicine al mio mondo, perfezionando solo quelle che avverto come abilità. Di solito ci si espone in cose dove si avverte di valere quel minimo, anche senza eccellere, altrimenti le cose si fanno dure e si lasciano andare. Dunque: chi è insicuro non ha nemmeno la sicurezza che sia giusto sottovalutare chi ti ha dato la sua fiducia, sopravvalutandoti. Andiamo avanti.
4) Bluff: molto simile al punto 1, ma in questo caso è più marcato e macchinoso, quanto feroce. Rispetto a chi agisce per falsa modestia, colui che sta bluffando bluffa su ogni piano di quella relazione, e non soltanto sul piccolo stratagemma in cui gioca a svalorizzarsi. Bluffa fin dal principio e utilizzerà tutti i tasselli di quel mosaico di circostanze, di occasioni, di momenti tra i più svariati, per giocare d'azzardo in quel piano relazionale, tradendo tutta la generosità, la stima e l'affetto che gli sono stati dati, credendo che l'altra persona trovandosi al suo posto agirebbe allo stesso modo, quindi per convenienza: così va il mondo, adesso tocca a me e questa cosa me la prendo e me la gioco così! Sarà tutto calcolato: un copione vero e proprio che deve puntare a un finale. Mi prendo la tua stima, fingo di non meritarla, ma solo perché mi serve. Vi sarà un momento in cui avrò preso quello che mi serviva e passerò avanti, dimenticandoti. Per sempre. Perché io bluffo e non ho altro motivo di avvicinarmi a te se non per portare avanti la mia partita, a modo mio.
Quanto è comune e dolorosa questa condizione, specie tra molte persone che inseguono un certo sogno di espressione. Contornarsi di amici, utilizzandoli come ponti levatoi per passare il fossato, e alla fine, una volta dentro...insomma, ne ho viste di situazioni simili. Gettare un amico in un fossato è una cosa che mi dà i brividi.
Adesso veniamo a me:
5) Non posso immaginarmi agli occhi di un altro. Non ho uno specchio per pettinarmi quando lavoro a un mio progetto, non so come sarò, spesso avverto il mio broncio – quando scrivo mi sento la faccia agguantata in un broncio, mi sento il graffio del broncio, senza vedermi. Sono in una cena al buio con la mia vita. Chi mi dà fiducia mi emoziona e mi paralizza. Mi dà una mano nel buio e io non tradirò un gesto di fiducia se non con la massima responsabilità, umiltà e il massimo rispetto per la persona che mi è davanti e accanto, per il suo mondo, per il suo tempo dedicato e investito, che è molto più importante di me, di quello che dico o che penso di fare e di quanto immagini o pensi di valere per quel dato incarico che mi è stato offerto.
Non saprò mai il mio valore autentico, ma in effetti nessuno lo saprà davvero. E anche il proprio valore autentico, una volta riconosciuto, sbiadirà e sarà fumo, come saranno fumo i nostri visi, le mie parole, i nostri nomi, i nostri sogni, i bluff, la mancanza di fiducia, la presunzione, la sottomissione, il potere, questo stesso post, ma non quel gesto di fiducia, quello non morirà mai. Quella fiducia avrà molto più valore del valore che pensiamo di avere per essercelo meritato. Io valgo per quanto ho dato, non per quanto penso di valere per qualcosa che ho fatto, perché forse avrò avuto il dono di farla in un certo modo – non si vale per i doni ricevuti, ma per quelli regalati.
Che senso ha chiedere a qualcuno quanto io valgo, o quanto io pesi, o quanto sia alto o basso o bello o brutto, o simpatico, moderno, interessante? Se la mia pratica creativa dovesse limitarsi alla ricerca di una valutazione, di una conferma, di una verità precostituita, di uno standard di eccellenza a cui ambisco e che è l'unico motore che mi muove, allora dovrei puntarmi una doppietta alla bocca, ancora prima di cominciare.
Se dovessi ragionare in base alle valutazioni personali delle molte persone che mi conoscono, sarò una persona diversa per ciascuno di loro, come nella prospettiva della visione a mosaico di un insetto o dei numerosi ommatidi della mosca domestica.
Tornando indietro, e riavvolgendo il nastro, quello che ho detto alla mia amica, è nato dal punto numero 5, ed era un qualcosa di nebbioso, insensato, ma forse frutto di un disagio sottile e interiore ma non certo macchinoso, che mi fa chiedere sempre permesso, prima di entrare, di scrivere, di parlare, di cominciare. Che non mi fa considerare un atto di fiducia come una possibilità di potere, un atto dovuto, ma come una prova di umiltà, di miglioramento, di condivisione di un percorso di possibile bellezza, che sarà sempre unico e insostituibile in un'esistenza.
Ecco allora perché...
Non saprò mai se quello che sto facendo avrà o non avrà un valore, dove saranno le prove, i testimoni, gli avvocati, gli estimatori, i banditori d'asta? Quello che invece so è l'espressione di accoglienza ricevuta ieri mattina, quando ho fatto una sopresa alla mia amica inglese e a suo marito, andandoli a trovare nel loro nuovo negozio. Ho varcato la soglia, un po' di corsa, con gli occhiali da sole e ho visto che hanno alzato entrambi la testa, con un'espressione stupita e indimenticabile e mi hanno detto: "Nooooooo!".
Ecco, questo è quello che so e non è misurabile. Che cosa potrei mai chiedere di più alla mia vita?