...che è da un pezzo che non ti si vede, a volte arrivavi con anticipo, anche di un'ora, ma ti annunciavi sempre, adesso invece non ti annunci più. Ma quando c'era l'invito ufficiale a pranzo, allora arrivavi con il dolore di quella strana eleganza festiva, che indossavi così male, e anche il trucco per l'occasione era alquanto balordo, non tanto i colori, ma immaginavo il giro delle tue mani sugli occhi quando ti specchiavi e penso che me ne accorgevo, guardando il trucco così più perfetto di mia moglie, che quando vi incrociavate per casa, tu le guardavi le gambe e le migliori scelte indovinate di un collant charcoal nella scarpa quasi alta, che tu non conoscevi e nemmeno ci hai camminato mai, e poi fuggivi lo sguardo e raccontavi e ti gustavi quel ruolo così raro e speciale di ospite, che anche mia sorella aveva gli stessi occhi straniti di mia moglie, quando a tavola muovevi la bocca sul cibo, con quell'eccesso di rossetto che a volte mi immaginavo fosse un fiotto di sangue per la ferita dell'esser soli e non lo sapevi nemmeno tu, e chissà dove abitavi, perché ci inventavi un sacco di bugie, a volte così tenere e mia madre lo sapeva che ti saresti potuta trovare al posto suo, se i miei nonni -ma soprattutto nonno Luigi, che era un tipo molto violento e così lontano da certe cose - avessero ceduto alle manovre di quella coppia così premurosa, che ci teneva a far fidanzare quella loro ragazzina così spaurita, che non si sapeva truccare e che era figlia unica, un po' bruttina e crepuscolare, nemmeno questa cima di acume- ma quanto accanimento a volte. Anche se mio padre fu invitato a quel balletto a cui non voleva andare e lì incontrò mia madre, esile e poetessa -anche lei - e parlarono per tutta la sera e c'era un pianoforte che suonava e anche i dischi e forse dalle note di "When i fall in love" di Nat King Cole cominciava debolmente ad affiorare il mio disegno sull'acqua e il tuo destino di innamorarti, in quello stesso istante, andava a picco. Sì, perché nessuno ti ha voluta più, e forse è per questo che ti voglio un po' di bene, ma non solo un pochino, il bene che si può volere a una che rompe gli ombrelli e che quando piove mette le scarpe da pioggia larghe da uomo, che forse tu non lo sapevi nemmeno, ma le donne più riuscite della mia vita ti guardavano con orrore appena divertito quando entravi e scrollavi le stille di pioggia fino in casa insieme alla tua dolcezza malinconica e indimenticabile. E così a quella festa da ballo dove si fece tardi, tu nemmeno andasti, che gli occhi di mia madre erano così più dolci dei tuoi, quella brunetta magra che studiava le belle lettere all'università e che si emozionava e ti avrebbe sorpassato, in qualsiasi possibile competizione. E tu non salisti nemmeno a salutare, e anche i tuoi genitori si arresero. Qualcuno ti avrà incontrato e ti ha dilapidato, come uno sciacallo nero, di tutto quello che da morti ti avevano lasciato e quando io ti chiedevo tu inventavi ancora altre bugie e così ci ridevo e adesso un po' mi fa male, anche perché una volta che venisti a pranzo io rimasi fuori e pranzai con un gelato e vagai per la città in solitudine, forse perché si diceva che non ti lavavi neppure e a tavola mi dava fastidio e i miei rimasero male e adesso anche io. Hai telefonato qualche volta, più di un anno fa e ho risposto sempre io, per vedere o almeno per chiedere dei miei nipotini, che forse avrai visto sì e no un paio di volte, ma che avrai mangiato di baci -me lo immagino, anche se io non c'ero -i baci di una persona così sola rimarranno speciali, per tutti e due quei terribili bambini: saranno come dei talismani, anche se li sfilavi di troppa saliva, me la immagino la faccia di Chiara, anche quando salutavi noi ci lasciavi quello strano umido che adesso un po' mi manca.
Non so più dove sei. Ti appoggiavi sempre a casa di qualcuno e inventavi sempre strade dai nomi impossibili, e ogni tanto penso che se potessi essere stata tu mia madre, forse ti avrei reso felice, o avrei avuto vergogna di te? Forse non avrei avuto gli occhi come quelli di mamma e nemmeno la sua magrezza e la sua fragilità -a volte penso a quella di Lillino, il fratello maggiore del nonno - oppure la mia vita sarebbe stata peggiore per sacrificarla alla tua, e chissà che non avrebbe avuto un senso lo stesso. Ieri mattina ero di passaggio davanti a quella tabaccheria che lascia sempre intravedere una macchinetta di video poker sulla destra dell'ingresso, dove vedo sempre donne sole, di tutte le età. Ogni tanto immagino di incontrarti lì e di chiedere a mia moglie o a mia sorella di buttare un po' di pasta in più o comprare i dolci per l'occasione. Anche per un solo giorno, fare finta che tu sia una specie di strana zia, e chiedere a Francesca di insegnarti come ci si trucca, che forse qualche incontro potresti ancora farlo, anche se non hai niente più, e questo a volte mi brucia un po'. Ormai è da un pezzo che non chiami più. E così stamattina ci pensavo: "Ma dove sei finita tu?". Adesso, dopo questo post, mi sento il cuore appena più leggero. Buona fortuna, dovunque tu sia...
2 commenti:
Che nostalgia! Che bella lettera a questa strana parente...
è bellissimo questo scritto nato dal cuore, ecco perchè poi ti sei sentito più leggero...
Ciao SM
Credo di immaginarmi quel viso dopo la tua magistrale descrizione. Vorrei truccarlo quel volto:
cipria ambrata, ombretto nero con tanti brillantini, e bocca color del rame.
E' incredibile come tutto ritorni nella nostra costellazione degli affetti... credo che questa persona ti abbia regalato un pezzettino di te...
mi hai fatto venire in mente Alda Merini...
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