Un amore di Buzzati è un romanzo che mi si è disteso dentro nel silenzio, tracciando disegni precisi e inquietanti dei suoi vuoti grigi e delle sue spianate dolci, alternandosi di piccoli-grandi labirinti nelle luci della sua Milano accesa presto, nella profondità tormentata dei personaggi e della bellezza triste di quel tempo, di quel clima strano, sospeso. Penso ad Antonio, a Laide, ballerina alla Scala e piccolo spillo e squillo nel suo cuore, della sua pazzia, del suo dolore, a volte come una persona sola, immaginati al chiuso o in uno spazio familiare, che si raggiungono già stanchi: visino teppista, senza troppi sorrisi, immagino ancora lei, maschera perduta e un po' romantica, lui.
E quando finisci un romanzo così e quando poi lo chiudi, è forse solo allora che si riaccende davvero e comincia a scorrere da capo: nella mia vita, nelle luci serali della mia città, dove penso alle parti più lontane della storia e mi sento un po' perso e deluso quando non riesco a ritrovarle.
E allora ti viene di ricercarle ancora nelle stesse pagine che hai trascorso, come una strada di passaggio che d'improvviso ti appartiene e ti riappare se scegli di ripercorrerla.
Come mi è accaduto ieri, quando tornavo a casa, che in un colpo l'ho pensata: Laide e le mie strade, la sera...
l.s.
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