Ho letto "La casa del poeta", questo bellissimo testo di Paolo Lagazzi poco prima delle vacanze natalizie e ne conservo intatto e speziato il profumo di incanto, di fumi e di cortecce appenniniche, tra le struggenti rêverie che l'autore ha rianimato in silenzio, nel suo piccolo diario ispirato sull'anima nuda e vorace di quei tempi e di quei luoghi precisi e insieme sfumati, di vacanze di monti e di versi.
Il ricordo dell'amicizia con Attilio Bertolucci, quel rapporto austero e appassionato fin dai primi incontri per discutere della tesi di laurea sulla sua opera, che viene ritratto nello spazio di un lungo canto nel canto, a rievocare le luci distese della poesia con una mano sapiente di saggista ma anche profondo e attento conoscitore di quelle stanze, di quei suoni, della filigrana di tutti quei piccoli riferimenti indimenticabili che sono state le radici e gli stessi getti vitali dell'opera singolare e sempre moderna dell'amico e del poeta Bertolucci, tra la mutevolezza di quei cieli montani e le segrete della sua officina.
Un testo che distende e riaccende di entusiasmi verso il mistero velato di quel verso ancora così invasivo di bellezza solitaria, di ansia e di appagamento, e questo continuo rifarsi alla "pazienza bertolucciana", come piccolo rimedio universale o talismano, che solo a ricordarlo dalle pagine mi rischiara e mi fa come più forte, come le pareti e le pietre di quella casa lontana...i tratti e i sorrisi della sua famiglia, delle sue strade negli alberi custodi.
Forte come quelle stanze e la loro storia che continua, nella casa del poeta.
"Il luogo magico dove nasce la poesia, unica grande consolazione condivisa da entrambi. La casa del poeta ne è permeato dalla prima all'ultima parola".
Dalla Prefazione di Bernardo Bertolucci.
l.s.
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