Leggere Ceronetti è un balsamo e uno spasmo continui; uno sfregare e ritemprarsi nella sindrome. Frizioni ma anche spruzzi, zampilli, scottature, lesioni e lezioni semantiche, strattonate e balzi nel vuoto. Attraversando grandi valichi, scorci e vecchie stradine attraverso il suo "occhiale malinconico", la sua invenzione diventa una summa di esperienze estetiche e spirituali. Ginnastica estrema e dolorosa dello sguardo; dell'orgasmo multiplo dello sguardo, soprattutto. Avvincente!
Adesso un blocco a caso, che scaravento di foga rapsodica o gesto d'impeto, subito dopo pranzo, da "La pazienza dell'arrostito", – davvero per non poterne fare a meno: una bellissima edizione, trovata a Napoli qualche anno fa, intonsa, da magazzino: Prima edizione Biblioteca Adelphi 228: anno 1990. E ancora un affondo salutare di saggezza, nel misticismo di questa scrittura fruttuosa e sfilante, che vede e prevede fin dentro le ombre dei suoni, nel bianco delle loro ossa, il nido più alto dell'aquila:
"In treno leggo Tanizaki. Nella storia di Sakurai, quanto sia il potere sull'anima delle canzoni. Vedi nel frammento leopardiano Il canto della fanciulla con quanta golosa morbosità l'anima se ne beva le allegre note per assimilarle come caduta di ogni speranza. Nessuna musica di grande compositore (salvo l'organo in una chiesa) può avere effetti psicologici così forti e teneri quanto, a volte, la più povera delle canzoni, se c'è la voce, la casa, la strada. La donna che canta è sempre parte del mistero erotico, il suo è un richiamo e un'attesa, per quanto affattura, impiglia, dà smania di salire in fretta le scale e di aprire l'uscio dove la voce si nasconde. Ma parliamo di un passato, sia d'Oriente che d'Occidente. Le hanno assassinate e buttate nei mucchi dei rifiuti, come refurtiva invendibile, le canzoni...".
Guido Ceronetti
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