Nella condivisione dell'istante poetico divento consapevole dell'importanza assoluta dell'ascolto. Come affinare l'orecchio al giusto suono in diversi casi è molto più importante del dire a caso la mia. Dico la mia, in questo caso, attraverso l'ascolto condiviso di quello che mi prende e mi sorprende, che mi attrae e che insieme mi forma e mi attesta.
Nel caso specifico in questione con questa voce pregevole e misteriosa dell'ermetismo italiano: Piero Bigongiari. Questa spuma tempestosa di cose, celate, nascoste dentro un linguaggio incontaminato, teso e febbrile, come guizzi cristallini nella carne delle bambole, diventando un esercizio, un ginnasio anarchico di elasticità, verso nuove lontananze inespresse, o "l'inferno dei segni da capire". Ascoltare come dire, o dire del mio ascolto; aprire l'orecchio alla conchiglia, come alla saliva azzurra della medusa, alla vallata buia nel crepuscolo. Scorgere una linea di luce dal tetro di un vetro appannato.
Come ne "La tempesta" di Piero Bigongiari, per esempio:
La tempesta
Forse è questa l'ora di non vedere
se tutto è chiaro, forse questa è l'ora
ch'è solo di sé paga, ed il tuo incanto
divaga nell'inverno della terra,
nell'inferno dei segni da capire.
Ma non farti vedere dimostrare
ancora le tue formule, è finita
l'orgia dei risultati rispondenti
alle cause. Se sola, batti i denti
accosto ai vetri nevicati, tetri.
Divergono in un morbido riaccendersi
d'altro sangue i destini che ci unirono.
Tu li ricordi come – in queste tarde
ore che riscoccano dalla pendola –
in un fuoco di tocchi, in un orrendo
scatenarsi, dai tuoi armadi, di bambole.
La nostra vita catturata, vedi,
mentr'era armata solo di silenzio,
come dai parafulmini ridesti
da un lampo, trova il filo da seguire
per non morire restando se stessa.
Piero Bigongiari, estratto da Poesie (1942-1992). Jaca Book. 1994
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