Ultimo giorno dell'anno. Che cosa potrei scrivere in un post così importante e conclusivo, ultimo barcollante convoglio? Qualcosa di banale, qualcosa a cui pensavo giusto questa mattina, riascoltando dentro di me alcune inflessioni e abitudini cristallizzate nel linguaggio comune, che più di una volta mi hanno colpito e mi hanno fatto riflettere. In diversi casi, quando ricevo un certo regalo da una certa qualsiasi persona, - di solito mi capita di più con gli amici- il regalo è accompagnato da una serie di frasi dette al momento della consegna, come automatismo innescato e indotto nel gesto; ma soprattutto di piccoli aggettivi ripetuti, che tentano, ancora prima che io lo apra, di sminuirne in tutti i modi il valore, qualunque esso sia, con espressioni del tipo: Luigi, credimi, è davvero una sciocchezza. È solo un pensiero, piccolissimo. È una fesseria. Tu mi perdoni, vero? Non è proprio niente, adesso vedrai. Scusami, è che non ho avuto tempo, è giusto una cosa così. Niente di che.
Così, ancora prima che io mi renda conto di quello che ho ricevuto, già si pongono le mani avanti, per trasmettermi in qualche modo un'informazione del tipo: Non ho avuto la possibilità di farti un regalo importante. Non vali un regalo importante. Non ho i soldi per farti un regalo importante. Non ho trovato il tempo per farti un regalo importante. Non ho avuto la voglia di farti un regalo importante. Non ho idea di quello che sia per te un regalo importante. Non credo che questo non sia un regalo importante, ma voglio che sia tu a svelarmelo, anche se io continuerò a negarlo. Non potrei dirtelo mai da me. Non è nel mio stile. E allora ti mento e tu mi sorridi lo stesso.
Così, ancora prima che io mi renda conto di quello che ho ricevuto, già si pongono le mani avanti, per trasmettermi in qualche modo un'informazione del tipo: Non ho avuto la possibilità di farti un regalo importante. Non vali un regalo importante. Non ho i soldi per farti un regalo importante. Non ho trovato il tempo per farti un regalo importante. Non ho avuto la voglia di farti un regalo importante. Non ho idea di quello che sia per te un regalo importante. Non credo che questo non sia un regalo importante, ma voglio che sia tu a svelarmelo, anche se io continuerò a negarlo. Non potrei dirtelo mai da me. Non è nel mio stile. E allora ti mento e tu mi sorridi lo stesso.
Quando il regalo sarà scartato, in quell'attimo qualsiasi oggetto per me sarà invece diventato già importante, e comunque non misurabile né quantificabile, per il solo fatto che qualcuno avrà pensato a me e avrà sentito di modificare una piccola parte della sua giornata per comprarmelo. Il regalo frutto di un pensiero di dedizione, rimane qualcosa di unico, e un qualcosa di unico non è più una sciocchezza; anche per il solo tempo dell'acquisto o della piccola programmazione, della strada da fare per raggiungere il negozio, delle scale mobili salite o discese, o di tutti i visi visti, incontrati, sfiorati, evitati, baciati, in quella precisa circostanza e forse soltanto per causa mia. Non capisco allora perché tendere sempre a sottrarre, e per quale strana forma di umiltà quest'ostinazione che scocca sempre così puntuale a ridimensionarne la portata.
Io penso invece che il valore di un regalo stia tutto nella profondità e nella purezza istintiva del gesto e nell'eleganza del silenzio, e del tempo sospeso e incantato che avrà diviso e legato, per un certo frangente, chi lo ha comprato e chi lo riceve. Che sia una sciocchezza o meno, sarebbe bene chiamare le cose con il proprio nome, o altrimenti non nominarle affatto, anziché farlo con nomi strategici e artefatti, per piccole maliziose abitudini, che innescano solo piccoli rituali e congegni cerimoniosi e spesso inutili. Quando invece il valore e il controllo sensibile e adeguato, nell'utilizzo delle proprie parole, potrebbe rappresentare una forma ancora più raffinata e preziosa di regalo. Niente di che...
Io penso invece che il valore di un regalo stia tutto nella profondità e nella purezza istintiva del gesto e nell'eleganza del silenzio, e del tempo sospeso e incantato che avrà diviso e legato, per un certo frangente, chi lo ha comprato e chi lo riceve. Che sia una sciocchezza o meno, sarebbe bene chiamare le cose con il proprio nome, o altrimenti non nominarle affatto, anziché farlo con nomi strategici e artefatti, per piccole maliziose abitudini, che innescano solo piccoli rituali e congegni cerimoniosi e spesso inutili. Quando invece il valore e il controllo sensibile e adeguato, nell'utilizzo delle proprie parole, potrebbe rappresentare una forma ancora più raffinata e preziosa di regalo. Niente di che...
Buon anno a tutti.
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