Mi accorgo che diverse volte compaiano o si incontrino mancanze che il tempo non riesce a medicare, o quanto meno ad attutire nella loro inevitabile frizione. Il tempo con alcuni vuoti non c'entra. I vuoti e il tempo non sempre si incontreranno. Le mancanze lacerano e non passano. Ciascuno di noi avrà la sua mancanza che lo completa, che lo disegna o lo designa. Non penso nemmeno che la lacerazione di una certa mancanza, comporti una mutilazione, una difficoltà motoria o inabilità. È uno stato dell'essere, a volte senza ragioni molto chiare e definite, e nemmeno necessariamente inguaribile o statico solo perché il tempo non riesce a medicarlo o attutirlo. Al di là del tempo, esistono stati di reali mancanze, che diventano forme e parti di vita e di nutrimento, la cui assenza costituirebbe una mancanza maestosa, ancora più grande e minacciosa di quella provata e rievocata. Certe cose sono molto diverse dai nomi che le si danno. Come il giorno e la notte. Esistono notti piene di luce e giorni oscuri. Mancanze piene, ricche e poetiche, contro presenze vuote, nebbiose, inconsistenti.
Mi sono accorto che tra le più oscure motivazioni che mi portano a dedicare del tempo della mia vita alla scrittura e di farlo in quel certo modo in cui lo faccio, prevalga la celebrazione di una certa e vaga soffusa mancanza, di qualcosa che non so, e che forse non saprò mai. Questo qualcosa, ancora così imperscrutabile e sospeso, mi permette di delineare dei piani alternativi a quelli prestabiliti da un criterio logico e metodico di ricerca del linguaggio e delle emozioni sottese alla forma già cosciente del discorso scritto. Così le mie parole avranno diversi piani di interazioni, quanto saranno gli impulsi interni e i piani di mancanze e di risonanza, che mi orienteranno, dissolvendomi.
A volte è mancanza dello stormo. Scrivo in cerca della rotta smarrita, deviata per errore, non sapendo se debba orientarmi puntando il senso di una costellazione, o lo stracotto al Barolo che fuma da una casa di campagna. In altri casi la scrittura lacera la mancanza di un controllo certo, la redine dal cavallo bianco, il flusso del fiume che cattura e trascina, e dove lo scrivere e il perdersi, diventano una cosa sola.
In altri casi è la ricerca di un luogo aperto, estivo, tra lo sfavillio del bivacco, ricco di profumi e di colori rossicci nel buio dei boschi, e lo strapiombo di una costa marittima, affollata di bambini e suorine di una grande colonia. In altri la ricerca di un luogo chiuso e isolato, senza troppi spiragli e paesaggi, ma con la giusta asciuttezza di un buon gelo che inargenti le pareti e incoraggi la fame. In tutte queste forme, più o meno sottili di mancanza, prevarrebbe alla fine, quel certo equilibrio del fattore di assenza, che spesso le trasforma e le rende come parti vive tra tutto quello che di più vivo si possiede e che ancora non manca. Orientandole verso la flebile idea, che qualcosa che non mi manchi davvero, non l'abbia nemmeno mai amata o vissuta davvero. In quel caso potrebbe non appartenermi e non mancarmi. Quindi non esserci mai stata.
0 commenti:
Posta un commento