martedì 14 settembre 2010

Distici e inversioni in Miller: The Time of the Assassins

"Ah! je n'aurai plus d'envie:
Il est chargé de ma vie.

Salut à lui chaque fois
Que chante le coq gaulois.
Trad: (Debendetti)


Ah! Non avrò più desideri:
Egli si è incaricato della mia vita.

Salute a lui ogni volta
Che canta il gallo gallico.

È questa la sequenza dei distici della poesia di Rimbaud Ô saisons, ô châteaux! (secondo la versione de i Meridiani sarebbe accorpato a Mémoire), dove Henry Miller, nel suo meraviglioso saggio The Time of the Assassins, inverte mirabilmente la sua citazione, forse in stile con il suo occhio magico e onestamente anarchico, rispetto alla prima versione che invece partiva con:

"Ô vive lui, chaque fois
Que chante son coq gaulois.

Mais! je n'aurai plus d'envie,
Il est chargé de ma vie."

Trad: (da I meridiani)


Oh  sempre viva, quando
Canta il suo gallo celtico

Mah! Non avrò più desideri,
S'incarica della mia vita.

Non lo vedo un puro caso, e forse neanche la nota di Giacomo Debendetti, che ha curato la traduzione del bellissimo e accattivante  saggio, e ci ha tenuto a evidenziare il piccolo dettaglio. Io credo che in questa inversione, si possa anche evincere il tipo di approccio che lo scrittore ha instaurato e sviluppato sull'opera di Rimbaud, non utilizzandola come semplice reperto autoptico o comunque come materiale da analizzare secondo alcuni canoni precisi, da spulciare con l'ortodossia di chi deve esplorare certo autorevole passato, ma, al contrario, come un flusso unico, vivo e sferzante,  nello stesso impeto di ineusaribile fervore di razza, che continua e si rapprende nella sua stessa  scrittura.  
Miller si attraversa della poesia di Rimbaud e ci concede insieme il suono, l'incisione dolorosa e liberatoria di questo attraversamento, come in una rapida rifrazione, un flutter atriale, ma ancora sensibilmente profonda, sulla sua arte e sul senso dell'arte moderna nel senso più ampio del termine.
"Il faut être absolument moderne", che ritorna come un'eco, durante tutto il suo percorso, mi sembra da rilevare come uno dei mattoni del suo impianto.
Mi piace intravedere ancora, soprattutto dopo aver riaffrontato il saggio per una seconda volta, un'autentica "Participation mystique", tra l'autore MIller e l'oggetto imperscutabile della sua indagine, che più che un'investigazione appare alla fine come una sorta di comunione intuitiva e moderna de Une Saison en enfer.
Imperdibile!

l.s.

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