"Imparare le lingue è soltanto utile. Nelle lingue imparare qualcosa del linguaggio è l'essenziale.
Pervenire fino alla parola è l'unica cosa che conti. C'è di più, ancora: toccare il suono, la vibrazione".
Questo è l'estratto di un pensiero, sottilissimo e sempre così pregnante, di Guido Ceronetti, dalla pagina 58 dei suoi profondi "Pensieri del tè", acquistati da mio padre diversi anni fa, credo proprio l'anno della pubblicazione del testo in questione, che si aggirerebbe quindi intorno al 1987- suppongo una prima edizione Adelphi, Piccola Biblioteca, ritrovata per caso in un inverno, nella casa ghiacciata di vacanza, insieme ad altri testi accantonati.
Tornando al concetto di lingua e di linguaggio, punto nodale del piccolo passo, devo dire che questo pensiero mi abbia accompagnato e ancora continua ad accompagnarmi, con la sua buona fedeltà, in tutte le mie svariate escursioni, o a volte anche incursioni aeree letterarie e di ricerca, in territori più o meno meno protetti, complessi o lontani, dove spesso si ha il bisogno di centrarne bene il fuso focale linguistico, di puntare in avanti il bastone bianco prima di avanzare, e sensibilizzarsi maggiormente al discorso sul suono, toccarlo, come dice Ceronetti nel finale: "toccare il suono, la vibrazione" e ascoltarne così la profonda risonanza, la lunga arcata nel suo significante.
Si tratta di allargare ancora la prospettiva e lavorare maggiormente sulla sensazione della parola, che credo comporti uno stacco necessario e nutriente, in qualsiasi percorso letterario, poetico o di prosa, ci si imbatta o a volte ci si impigli. Una piccola inversione verso questo tipo di essenzialità, che metta la parola nell'ordito di una relazione sensuale di radici risonanti al contatto, dove ogni tanto conta il ritornare: "pervenire fino alla parola".
La immagino una forma raffinata di immersione più che di emersione. Di ricerca intima nell'ascolto fondo del linguaggio fisico. A volte strategia segreta, celata.
Si tratta di allargare ancora la prospettiva e lavorare maggiormente sulla sensazione della parola, che credo comporti uno stacco necessario e nutriente, in qualsiasi percorso letterario, poetico o di prosa, ci si imbatta o a volte ci si impigli. Una piccola inversione verso questo tipo di essenzialità, che metta la parola nell'ordito di una relazione sensuale di radici risonanti al contatto, dove ogni tanto conta il ritornare: "pervenire fino alla parola".
La immagino una forma raffinata di immersione più che di emersione. Di ricerca intima nell'ascolto fondo del linguaggio fisico. A volte strategia segreta, celata.
l.s.
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