Così dicono Giovanni Giudici e Vladimír Mikeŝ nella prefazione al volume "La cosa chiamata poesia", che hanno amorevolmente curato nella traduzione. Parlando così e ancora più in fondo, di un tipico "campione della linea" dei poeti céchi, di quella già nota linea tragica. Un poeta dalla vita breve, a cui ho pensato parecchio, subito dopo avere aperto il volume dalla collezione paterna, in piena notte, in piedi, in una cucina. Ripensando a come descrivere i suoi versi, a chi non sa che egli sia un poeta, perché non lo conosce ancora e non si è trovato con un suo volume nelle mani in una notte fonda e a caso.
E allora riflettendoci, ma non troppo, e forse seguendo semplicemente l'istinto delle prime raffiche, voglio ricordarlo e rappresentarlo in un paio di stralci, senza dirne altro, almeno per ora:
"La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?
in solitudine singhiozzare
e tanto volere bene.
Senti? È il suo ticchettio
Così disperato giocare
La cosa chiamata poesia
quella vorresti fare?"[...]
O ancora:
"Quaderno azzurro, mi congedo da te. Per tanto tempo. E forse per sempre. È la notte del tredici marzo millenovecentotrentanove...Sono un Arthur Rimbaud, che non è diventato tale. Sono un Arthur Rimbaud, che ha avuto un diverso coraggio...
Ecco chi è il poeta Jiří Orten.
È un poeta.
l.a,
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