Avendo incontrato questo bellissimo testo originale (originale inglese), di Kahlil Gibran, ho trovato utile e divertente provare a tradurlo, senza troppi tecnicismi, ma nello spirito che credevo vicino alla mia sensazione del momento. È molto bello e profondo, anche per il suo significato. Procedo:
Le due poesie.
Diversi secoli fa, sulla strada per Atene, due poeti che si incontrano, entrambi molto felici di vedersi.
Uno tra i due, domandò all'altro: "Hai scritto qualcosa di nuovo? E con la lira, poi, come ti va?".
Così l'altro, ma con orgoglio: "Ho appena concluso la più splendida tra le mie composizioni, penso davvero la più grande in lingua greca. È un' invocazione al Supremo. A Zeus!".
Poi prese subito una pergamena dal suo mantello, dicendogli: "Eccola, osserva: l'ho portata giusto con me, sarei così felice di leggertela. Seguimi, ci sediamo all'ombra di quel cipresso bianco.
Così il poeta gli lesse la sua composizione. Era una composizione lunga.
E l'altro, ma con gentilezza: "Questa composizione è splendida. Vivrà attraverso gli anni e ti porterà molta gloria"
E il primo poeta, adesso calmo, "E invece tu? Tu che cosa avresti scritto in questi ultimi tempi?".
E l'altro: "Ho scritto qualcosa, ma...molto poco. Otto versi, ricordando un bambino che giocava in giardino".
Recitò quegli otto versi.
E il primo: "Non malvagio, niente male".
Poi si divisero.
Ad ora sono passati duemila anni, ma quegli otto versi di quel poeta, sono letti in ogni lingua, amati e conservati teneramente nei cuori.
Kahlil Gibran
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