Occupare per la seconda volta le stanze di Bertolucci, rimane un'esperienza assolutamente nuova, intatta e incantata, anche dopo numerose visite. I segni vivi di una scrittura minuziosa e aperta a grandi virate di lirismo, ma anche di sperimentazione, da quel polso fertile e felice che ha saputo operare nell'affresco del suo romanzo in versi sempre con la variabilità di un tocco acceso, dal respiro mai troppo uguale ma intenso e nella forma di una ricerca insaziabile e mai troppo fine a se stessa. Nella mia cucina, di pomeriggio, apro il volume ed esploro i passaggi dimenticati, trovando sempre nuove soluzioni, nuovi spunti, nuovi angoli di luce.
Uno come questi, per esempio, dal primo capitolo, già tracciato nella sua bellezza di memoria e di spazi aperti e ancora più indimenticabili, nella loro solitudine di luci:
"...Poi
venne un'ora limpidissima, l'ora
del pastore
che passa su ogni cima uno smeriglio
di luce solitaria; ma le valli
questa volta non echeggiarono del suono
cristiano che aiuta ad affrontare
la notte."
Estratto dal verso 34 al 41, del Capitolo I della Camera da letto, di Attilio Bertolucci: "Fantasticando sulla migrazione dei Maremmani".
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