Le parole non arrivano mai facilmente alle luci. Quello delle luci è un percorso superiore di occhi, di sguardi, e allora tradurre la risposta degli occhi a volte è come addentrarsi nella follia di una sfida alla ricerca di un fantasma, in qualsiasi branca dell'arte ci si imbatta e ci si impigli.
Ma sabato mattina ho scoperto quanto può essere formativo e nutriente avvicinarsi alla sensibilità delle luci attraverso l'occhio di chi dipinge. Rosa Fortunato conosce molto bene le sue di luci, ma non ne ostenta la profondità perché il suo carattere non lo ritiene necessario. Le sue tele erano le prime sulla destra, entrando all'interno della chiesa sconsacrata, l'occhio cadeva sul fuoco e sulle fiamme del suo "Evento della terra", che scagliava sulla tela il fruttato di sangue di caramelle spaccate e non la violenza di un incendio. A volte il confine con il colore del sangue e del fuoco è sempre così sottile, basta poco a scottarsi e a non illuminare a distanza una finestra lontana, il bacio umano sul fuoco della candela diventa così il più difficile da raggiungere perché la nostra reazione a quell'evento ha una memoria istintuale precisa che ci spinge ad altro. Invece dentro quella sua idea di colore c'era la visuale di un'origine di celebrazione e non di distruzione. E dalle sue parole, sempre molto chiare e velate da quella sua modestia che rende ancora più luminosità alle sue opere, ecco schiudersi la conferma a quella sensazione: la visione di una prospettiva non più umana e condizionata del fenomeno "eruzione", ma presa dall'occhiale lucido che affuoca un punto di vista superiore e incontaminato dal quale si sgrana la generosità del colore e non il richiamo viscoso del suo sangue. Rosa ha la paura del chiasso, tipica degli artisti più silenziosi, lo stesso terrore che mi attanaglia quando scrivo o revisiono; la paura di aver caricato un evento dal peso eccessivo di un polso, che invece è entrato dentro quella manifestazione con la leggerezza di una giovane acrobata, in esatta armonia con lo squarcio dei suoi femorali nel vuoto. La paura di un artista a volte, però, è il suo buon motore per cercare di non abbandonarsi all'innamoramento con le proprie immediate percezioni e allora nella paura di quel chiasso, forse, emerge il colore più tenue e più vivo che la sua ricerca intinge alle sue tele e alla sua vita.
Sul lato opposto un'altra tela, acrilico su tavola dal nome "Il disgelo", quasi un altro mondo, una schiusa, un ritorno alla vita, ammantato da un bianco innevato e pensante, forse il bosco di Hansel e Gretel o la spaccatura di una stasi interna che prende a scivolare di riflessi e di riverberi. Gli alberi sembrano permeati di un'umanità disciplinata, concentrati in uno spettrale fuso armonico e di lunghe dolci ombre parallele, così dinamico da sembrare un apparato vivo. La mia prima impressione sul quadro, era quella di una tensione in moto, forse dolorosa quanto vitale. Ma guardandolo ancora, e con maggiore attenzione, ha cominciato a svelarsi la sua natura reale, quella meno traumatica e più luminescente in contrappunto a quell'apparenza di gabbia concentrica. E poi abbiamo parlato del coraggio di una scelta nell'arte e la mattinata è proseguita e spianata nelle profonde luminarie di altre tele e di altri autori, mentre fuori la pioggia aveva smesso e l'aria si faceva più tersa e più tesa, in un passaggio surreale di consegne al gioco di lumi del mio reale, che continueranno a bersagliare di prospettive le mie povere strade, adesso però nella stabile risonanza incantata di quel moderno plein air, lungo il tratto del mio ritorno e ancora oltre.
l.s.
Ma sabato mattina ho scoperto quanto può essere formativo e nutriente avvicinarsi alla sensibilità delle luci attraverso l'occhio di chi dipinge. Rosa Fortunato conosce molto bene le sue di luci, ma non ne ostenta la profondità perché il suo carattere non lo ritiene necessario. Le sue tele erano le prime sulla destra, entrando all'interno della chiesa sconsacrata, l'occhio cadeva sul fuoco e sulle fiamme del suo "Evento della terra", che scagliava sulla tela il fruttato di sangue di caramelle spaccate e non la violenza di un incendio. A volte il confine con il colore del sangue e del fuoco è sempre così sottile, basta poco a scottarsi e a non illuminare a distanza una finestra lontana, il bacio umano sul fuoco della candela diventa così il più difficile da raggiungere perché la nostra reazione a quell'evento ha una memoria istintuale precisa che ci spinge ad altro. Invece dentro quella sua idea di colore c'era la visuale di un'origine di celebrazione e non di distruzione. E dalle sue parole, sempre molto chiare e velate da quella sua modestia che rende ancora più luminosità alle sue opere, ecco schiudersi la conferma a quella sensazione: la visione di una prospettiva non più umana e condizionata del fenomeno "eruzione", ma presa dall'occhiale lucido che affuoca un punto di vista superiore e incontaminato dal quale si sgrana la generosità del colore e non il richiamo viscoso del suo sangue. Rosa ha la paura del chiasso, tipica degli artisti più silenziosi, lo stesso terrore che mi attanaglia quando scrivo o revisiono; la paura di aver caricato un evento dal peso eccessivo di un polso, che invece è entrato dentro quella manifestazione con la leggerezza di una giovane acrobata, in esatta armonia con lo squarcio dei suoi femorali nel vuoto. La paura di un artista a volte, però, è il suo buon motore per cercare di non abbandonarsi all'innamoramento con le proprie immediate percezioni e allora nella paura di quel chiasso, forse, emerge il colore più tenue e più vivo che la sua ricerca intinge alle sue tele e alla sua vita.
Sul lato opposto un'altra tela, acrilico su tavola dal nome "Il disgelo", quasi un altro mondo, una schiusa, un ritorno alla vita, ammantato da un bianco innevato e pensante, forse il bosco di Hansel e Gretel o la spaccatura di una stasi interna che prende a scivolare di riflessi e di riverberi. Gli alberi sembrano permeati di un'umanità disciplinata, concentrati in uno spettrale fuso armonico e di lunghe dolci ombre parallele, così dinamico da sembrare un apparato vivo. La mia prima impressione sul quadro, era quella di una tensione in moto, forse dolorosa quanto vitale. Ma guardandolo ancora, e con maggiore attenzione, ha cominciato a svelarsi la sua natura reale, quella meno traumatica e più luminescente in contrappunto a quell'apparenza di gabbia concentrica. E poi abbiamo parlato del coraggio di una scelta nell'arte e la mattinata è proseguita e spianata nelle profonde luminarie di altre tele e di altri autori, mentre fuori la pioggia aveva smesso e l'aria si faceva più tersa e più tesa, in un passaggio surreale di consegne al gioco di lumi del mio reale, che continueranno a bersagliare di prospettive le mie povere strade, adesso però nella stabile risonanza incantata di quel moderno plein air, lungo il tratto del mio ritorno e ancora oltre.
l.s.