Alcuni libri diventano sfide, percorsi labirintici che infondono di angoscia e di ristoro a distanza di poche pagine o addirittura di righe. È forse il caso di quest' avventura ipnotica ed ermetica, intrisa di significanti sulfurei, grandi distese poetiche e morsi di luce, ad avermi convinto a restare sospeso e quanto più lucido possibile nel resisterle, in questo triplo salto nel vuoto, dove a volta non basta il coraggio o lo sforzo di capire, ma la ricerca di assentarsi nello sforzo. Anche il lettore deve affinare una sua tecnica, o rivedere la profondità e la resistenza dei suoi bagagli di viaggio. Ho dovuto infatti codificare lungo il percorso di lettura, un approccio corretto e personale all'autore, che sembra sfuggire e avvicinarsi a ritmi alterni e irregolari, come un grosso uccello selvatico, svincolando sul più bello dal ramo più basso e vicino, e perdendosi in lontananza nello stacco della sua canzone metallica, come in un assolo lunare di grandi dissonanze.
È difficile parlare dei passaggi più importanti o di una tessitura quanto meno tematica che prevalga in qualche modo sull'altra, perché nel Paradiso di Lima il contrappunto tra il reale e l'immaginario non sacrifica niente, non concede ruoli subalterni, ma canta e incanta, di luci e di dolore e di pomeriggi caldi di insetti e piccole piaghe, dalla sensualità morbosa del contatto alle distese di grandi tecnicismi, nelle stesse trame, la grandezza delle figure femminili, il sapore di terre ancora sconosciute, l'effetto dello scandalo, che gli valse il ritiro dalle librerie nel 1966.
Un libro difficile? Come rispondere. Potrei consigliarlo a chi non conosce certe spezie rare delle parole, i tempi narranti e virtuosistici trafitti da un'anarchia che occulta le sue piccole regole nascoste, come figli illegittimi.
E allora forse mi rimane ancora al palato il sapore di una sfida, gustata anche se forse non vinta.
Un gioiello Einaudi, considerato a pieno titolo un classico del Novecento.
l.s.