Le strutture a cui lavoro sono dei contenitori utilizzati per abbandonarmi al mistero di un' esplorazione. Al loro interno tutto potrebbe accadere o anche non accadere. In questo stato esplorativo di abbandono contemplo anche una particolare e ferrea disciplina, che va regolata, a volte come si regola un respiro necessario prima di una certa azione. Ma questa forma di disciplina non condizionerà mai la totalità ispirante dell'abbandono e del suo nutrimento, ma gli darà solo quella giusta irrorazione per consentirgli di espandersi al meglio, contemplando tutte le possibilità relative al suo moto di eiezione e alla scorsa dei suoi fluidi.
Durante queste scorse il contenitore utilizzato come struttura o caposaldo formale, si smuove in modo complesso, spesso poco prevedibile. Questo contenitore, dove io identifico una struttura dove articolare un determinato – o anche non del tutto determinato – percorso, in diversi casi anche molto lungo, non lo sento limitante per quanto riguarda tutto quello che di più intimo e personale può accadervi all'interno; lo avverto invece come quel perimetro prezioso, che non impone ma dispone le misure orientative di un campo di azione e reazione, come di uno spazio energetico, che anche se racchiuso in una forma prestabilita, può diventare da un momento all'altro uno squarcio di figure e situazioni complesse, forse proprio grazie ai lati e ai confini dello stesso telaio che le circoscrive, senza il quale forse non accadrebbero le condizioni preliminari per una reale ispirazione, che si articoli in un insieme compiuto e non solo apparizione vaga di un effetto emotivo, spesso effimero se non svogliato nella sua fattura – basta guardarsi in giro, in rete e fuori rete, per cogliere questi spasmi amatoriali e svogliati, che sentono e molto spesso pretendono di definirsi scrittura.
Il perfezionamento del telaio richiede molta fatica e molta angoscia, per ogni passo che si compie in avanti: non esistono rimedi, consigli, o trucchi e nemmeno scorciatoie, per consentire a una struttura di mantenersi in piedi e di non crollare alla prima brezza. Ed è in questo equilibrio, come in questo delicato confine di leve e di ombre, che si smuove il dolore di questo gioco.