sabato 11 febbraio 2017

"Cronaca del dodicesimo": un estratto


Questo è un estratto da un mio racconto inedito "Cronaca del dodicesimo", da cui ogni tanto ritorno, a distanza di tempo, per controllare e conoscere tutto quello che non so ancora di lui. L'unico modo per intervenire in modo efficace è sulle sue zone d'ombra, le uniche più sensibili.
Ogni racconto ha un suo polso. È lì che di solito lavoro. Nella piccola zona dove si concentrano e dalla quale si irradiano le pulsazioni, ma che varia per ogni scritto. Una zona fragile, dove si sentono le ossa ma anche la vita che scorre, nello stesso difficile istante.

"Il vecchio Saumek non era solo uno specialista raffinato del gioco degli scacchi e dei concimi agricoli, ma di molto altro, anche se tutto questo molto altro non era poi così noto a nessuno dei borghi vicini e delle campagne limitrofe. Nessuno conosceva la complessità del resto. L'immenso fondale di Saumek. Per il ragazzo Sauk suo nonno Saumek era un antico libro d'acqua. Un libro molto raro, fatto di pagine e di fondali infiniti, che scrosciavano di silenzio e di mistero. Ciascuna pagina, diceva Saumek, potrebbe essere un fondale. Un fondale abissale. Sauk avrebbe chiesto e avrebbe subito saputo. A qualsiasi domanda avrebbe ricevuto una risposta completa e articolata, come il teatro terso di un fondale. Una risposta sempre adeguata, saggia e molto amorevole. Per quei dodici lunghi giorni, il vecchio e il ragazzo non avevano fatto altro che parlarsi  e poi perdersi in un annegamento, attraverso le pagine e i fondali degli occhi distrutti, come della voce e del sapere infinito di Saumek, mentre la luce morente dei campi avvolgeva la casa e i loro cuori, trasformando il nonno e il nipote in ombre di rovine mutanti. Il ragazzo chiedeva e il vecchio gli rispondeva, sempre con molto garbo, senza mai affrettarsi. La sua voce profonda li avvolgeva in una cortina di fumo e di tepore, senza tempo. 
I due cenavano sempre molto presto, ancora con la luce del giorno e con l'ultimo sole che batteva sulle loro braccia vicine, che, per quanto fosse piccolo il tavolo della cucina di Saumek, in certi momenti quasi si toccavano. 
Poi, più tardi, terminata la cena,  i due rimanevano seduti fuori, sul balconcino, a guardare il piccolo mondo di Saumek spegnersi a poco a poco, e appannarsi nei vapori celestini dei campi, mentre le prime stelle cominciavano a sbucare come lupi dal buio, costringendo i loro visi a sollevarsi nello stesso momento, senza trovare più le parole per quanto dolore brillasse di colpo, ovunque e intorno a loro. 
In quei momenti il loro discorso continuava, ma nel silenzio più tombale, che mieteva un filo di spavento nei loro sguardi agghiacciati dalle distanze, come dai profumi del vespro, che si formavano in quel preciso momento nei campi lontani. Quando il buio calava del tutto sui campi lontani e li divorava, allora la voce del vecchio Saumek riprendeva a parlare, con un tono più sofferto, esattamente dallo stesso nodo d'ansia in cui si era interrotta, prima della comparsa del firmamento con i suoi rovi lupeschi".













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