Ascoltare il passaggio d'ombra tra le frasi, gli istanti sparsi tra le parole, che siano scritte, trascritte da chiunque al mondo, o da se stessi, spesso non conta. Nel silenzio tombale del pomeriggio che cosa può osare un romanzo. Quanta aria e quanta luce imprevista al miracolo di una nuotata serale, come dal riflesso indaco di un attico, dove si prepara una festa per pochi, la feritoia di un nudo tra le pagine notturne, come dalla finestra dove si spoglia una cameriera d'hotel.
Tra i paragrafi si snodano e si svelano forme; la disposizione dedicata dei piatti, per un solo invitato sconosciuto la fiaccola del suo tovagliolo pulito e ornato di mistero nel fondo del bicchiere. Ecco quanto e cosa concede il forgiato tenace di un libro, tra gli occhiali posati sulle ginocchia di un vecchio alle pagine sgualcite da un ragazzaccio, che avanza a tentoni, leggendo per prima il finale con le dita sporche d'erba e di terriccio azzurro: non conta.
O leggere a cena, con accanto il vasetto aperto dei peperoncini, un gatto soriano, una candela spenta che sfuma. Leggere al buio e di nascosto, cieco e leggero, come un ultimo veliero alle tempeste. Leggere al telefono, a letto, in metropolitana, sulle gambe tristi di una ragazza, in uno studio medico, dalle mani mute di un padre, su di un albero o il fine settimana.
Associo alla parola scritta i momenti di maggiore ferocia e intimità della mia vita con quello che non arriva solo dal pensiero, ma che dal pensiero irrora, feconda e concede la sua luce prima, la sua foce al buio del sorso. Un libro dice e insieme tace. Sarà questo il suo fragile delitto, o la sua stradina aperta nel fresco dei campi. Il balsamo efferato del tuo veleno al suo proverbio.
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