Un grande silenzio intorno, appena il soffio delle pagine in penombra, quando aprivo per la prima volta l'edizione Adelphi del 1987 dei Pensieri del tè di Guido Ceronetti. Scovata dalla collezione paterna, gli scaffali bianchi solcati nel muro. Divorata e poi ripresa, in momenti diversi, ma con lo stesso stupore e rapimento della prima volta, con lo stesso mormorio soffuso dell'acqua che bolle appena.
"Due volte al giorno, verso le sei del mattino e le cinque della sera, tazza ripetuta di Tè verde della Cina arriva con la sua infallibile virtù unitiva, confirmativa, risuscitativa, a disincagliarmi e a preservarmi da ogni specie d'inerzia, d'inebetimento, di abbatimento". Così cominciava – e ancora così comincia – l'immersione. I pensieri del mio primo Ceronetti più mistico, che all'epoca in cui li incontravo erano ancora ostici ma non per questo privi del loro fascino naturale; delle pietre misteriose di luce diffusa, dove era difficile cogliere subito le trasparenze e le ombre, perché l'una nasceva e sfiniva nell'altra, il chiaro e lo scuro erano mischiati come capelli.
Dalla campagna, a quell'ora della sera, si bruciavano foglie, e io leggevo i primi Pensieri ai tempi lenti e leggeri del Tè, quello che capivo e anche quello che non capivo, lo leggevo e lo facevo mio.
Dalla campagna, a quell'ora della sera, si bruciavano foglie, e io leggevo i primi Pensieri ai tempi lenti e leggeri del Tè, quello che capivo e anche quello che non capivo, lo leggevo e lo facevo mio.
E sono quegli stessi pensieri, mi dico, a disincagliare, a preservare, a risuscitare nella stessa virtù confirmativa di cui sopra, la necessità di rinsanguarsi dell'incontro intimo con le parole, e con tutto quello che dicono e che non dicono. Nel silenzio.
2 commenti:
Difficile mettere parole al silenzio. Stavo leggendo l'introduzione ai Ching. L'ombra e la luce, la terra e il cielo; il tempo e il mutamento nella bella presentazione di Jung. Ieri ho scritto di una tazza di tè in versione zen. Tutto accade simultaneamente senza casualità.
Ciao, Eletta.
Credo di averla letta quella Prefazione di Jung. Dovrebbe essere quella del 1949 scritta per l'edizione inglese e pubblicata per Adelphi. Incantevole. Condivido sulla regia del caso, occulta ma spesso anche affettuosa in un'esistenza.
Grazie della visita,
luigi.
Posta un commento