30 nov. 1938
"1) Fare una novella ha due tempi. C'è un'acqua che s'intorbida, ci sono dei gesti violenti, dei sussulti, della schiuma; poi c'è una calma, una passività, l'acqua che trema si fa immobile, dirada, si schiarisce, e tutto traspare impreveduto. Il fondo e il cielo eccoli immobili."[...]
Cesare Pavese, da Il mestiere di vivere. Diario 1935-1950.
Tutto questo, mi dico, fa pensare. In alcuni punti Pavese sembra rifarsi a una storia zen, alla dinamica oscura di un koan; alla raffigurazione di un evento naturale improvviso, al passaggio di un volatile sulla superficie di un lago. La fase dell'avvenimento o accadimento è dolorosamente naturale, non sempre controllabile o contenibile da una sequenza pianificata di eventi o di tattiche. Si è parte della struttura, del torbido, del disordine, dell'imprevisto e impreveduto (ancora più potente); a volte diretti artefici di quel disordine, parte del getto, il nostro stesso intento sarà parte plasmabile e non solo impulso formale ma elemento casuale e non sempre causale. Il movimento stesso, l'impulso ostinato della costruzione, potrebbe smuovere l'acqua e causarne l'impurità. Pavese vedeva molto lontano e in profondità, e poco più avanti, continuando al punto II:
"Così nasce una novella: l'acqua scomposta si schiarisce tremando e si ferma".
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