venerdì 8 ottobre 2010

Come un eterno apprendista...

Sarei sempre tentato di vivermi tutti i miei affari di scrittura, come un eterno apprendista, con il volto rigato dal sonno, i trucioli di compensato tra i capelli, e un falegname miope e molto burbero, che ti addestra al legno, alle sciabolate di sega e ti insegna senza saperlo una forma arcana e misteriosa di linguaggio. 
E lasciare la bottega per ultimo, quando dalla finestrina accanto alla porta, ti piombano addosso stelle come mute di cani feroci, e tu ti accorgi che certe cose che vedi, non le potrai mai scrivere o comunicare a nessuno, perché in quel paese non hai altro che la tua bottega, le tue tavole di legno e le tue notti; e così non ti resta che rimanere a guardarle, saziarti di quella impossibilità, ascoltando gli odori dei ciocchi arsi da qualche zona vicina, il passaggio di una vecchia macchina che si allontana a fatica, il latrato di un cane, il fumo lentissimo che sale da una casa. 
E intanto accorgersi di avere ancora una matita, mezza mangiata nella tasca, ma essere circondato dal freddo e dal buio del paese invernale, senza fogli e carta disponibile, ma solo legno e stanchezza e sonno.
Sarei tentato di immaginarmi splendidamente appagato da quell'effetto di solitudine e di grandi oscure e implose condivisioni, che in qualsiasi luogo al mondo, in un attimo svogliato di incantamento, potrebbero fermare comunque il tempo e raggiungere qualcuno, marcandoti a fuoco del loro semplice ma inconfondibile calco sensibile. La calma del vento sul ciglio di un baratro.
l.s.

1 commenti:

sandra ha detto...

Bellissima descrizione, per un attimo ho respirato l'aria di Neblinas... Lo conosci questo romanzo?
Io ho avuto la fortuna immensa di leggerlo...
Un abbraccio. D.