domenica 9 maggio 2010

L'invitato (Prima bozza grezza)

"Dove andiamo?".
"Non lo so".
"A quest'ora mi prende sempre di pensare".
"A cosa?".
"Alle montagne da scalare ancora sul mio cuore e ai suoi dirupi".
"Perché dici questo?".
"Me lo fa sempre a quest'ora. Soprattutto dopo una festa così".
"Torniamo, che dici? Vediamo se è rimasto ancora qualcuno. Chissà se...".
"Se?".
"Può darsi che riesci a parlarle, che ci costa?".
"Non lo so, è che non sono riuscito a parlarle nemmeno un minuto, forse quella confusione".
"Vedrai che saranno ancora lì, semmai in pochi, con la notte nel cuore e negli occhi, lei avrà il suo golfino bianco sulle spalle magre dove appoggerai il tuo mento, quando scende quel fresco che le fa stringere le braccia e alzare le scapole e farti sognare,  chissà se in quei momenti, quando si è in pochi, e la musica è bassa come le luci, perché potrebbe disturbare, ma le parole, un po' in sottovoce...".
"Il compleanno più dolce sarebbe stato: ma  se solo mi parlasse, anche di niente, e così...se fossero ancora lì, tu scenderesti con me e aspetteresti, in sottoluce?".
L'auto, compiuta l'inversione, prosegue verso l'abitazione, sfavillante sulle loro teste una limpida coltre stellata.
"Guarda, è ancora tutto acceso, vedrai, vedo ancora diverse macchine ancora in fila. Nel viale non passeggia più nessuno. La senti la musica? Ci sono ancora, hai visto?".
"Che bella serata, però. Lo hai visto che cielo?".
L'auto attraversa i villini oscurati precedenti e si avvicina ai bagliori del numero 15, costellato dal velario di piccole lampadine di argento e da una musica sempre meno lontana di pianoforte, che sfila dalle finestre socchiuse e il gonfiore dolce delle tende come velieri soffusi e nell'ansia, e le ombre sfumate di coppie ancora strette e spaventate, che si perdono in un lento sfinito e appena ripreso, i lunghi  nasi spenti nei colli speziati da profumi francesi, senza un tempo: My foolish heart. Quando  la macchina è già ferma. Mezzifari.
I due sono a guardare ancora fuori. Rod è l'autista, Paul è l'altro.
"Guarda, che dentro hanno quasi spento; staranno ballando, forse in pochi, a lumi bassi. Perché non entri? Penso che sia ancora lì...probabile ancora da sola, sarebbe bellissimo, che forse non se lo aspetta".
"Non lo so, adesso mi sembra così strano, entrare e dirle cosa, poi? Che ho dimenticato...".
"...di amarla, forse?".
"Ma dài, ci pensi a cosa mi direbbe? Come fai a pensarle certe cose!".
"Avanti, scendi intanto, io ne fumo un'altra. Vedrai che troverai il coraggio, in fondo non vi siete mai perduti davvero, sei stato tu a essere sempre così difficile, come adesso, adesso che mi hai fatto arrivare fin qui, e nemmeno sai quello che vuoi!".
"Non ti ho fatto arrivare qui, l'idea è stata la tua".
"E perché diavolo pensi lo abbia fatto, per me forse? Cosa vuoi, che arrivi qualcun altro all'improvviso e te la soffi?".
"A quest'ora chi vuoi che venga più. È tutto quasi finito. Ci saranno solo persone che andranno via...".
"Allora potresti chiederle di accompagnarla a casa. Io vi aspetto in macchina e così voi due parlate un po', e tu la fai ridere, come sai fare e poi, poi puoi dirle anche di sua cugina, se Domenica si potrebbe organizzare anche con lei, cerca di fare il disinvolto, però. Non far capire che io sia troppo interessato, deve partire da te. Allora? Ti decidi o no?".
"Però adesso scendi anche tu, che ti costa?".
"Hai bisogno di me? Per parlare con lei, hai bisogno ancora di me, avanti, è mai possibile?".
I due si stanno per decidere, quando dall'interno avvertono un gran trambusto, un vociare, uno spostamento e anche la musica è interrotta di colpo. L'autista stringe tra le labbra la sigaretta ancora spenta, l'altro è ancora dentro, senza capire perché stessero uscendo alcuni così di corsa e concitati.
Uno degli invitati si scaglia in un auto e avanza in retromarcia verso l'ingresso, ma dall'interno una voce di donna, trafelata, che si sbracciava facendo segno di fermarsi. Un uomo grassoccio e di mezza età la raggiunge.
"Dicono di non toccarla! Arriverà un'ambulanza tra pochissimo, siamo riusciti a chiamarla, adesso rientrate, ragazzi,  vi prego, e cercate di fare spazio con le auto per l'ingresso del soccorso. Quella bianca, per esempio, ti ricordi di chi è?", e intanto l'uomo si avvicina al tipo che stava impegnando la retromarcia e che adesso ritornava al suo posto di prima. Per ogni lampadina si accendono diverse sigarette sanguinanti di tensione e di boccate corte, come lucciole di larve carnarie americane.
I due si guardano. L'autista Rod entra in auto, affanna.
"Ci sarà qualcuno che si sarà sentito male. Che facciamo?".
"Andiamo via, andiamo via, subito, per favore, Rod! Metti in moto e scappa, prima che qualcuno ci veda. Andiamo, quanto ci metti ad accendere, andiamo!".
"Andiamo dove? Voglio cercare di capire chi è che non sta bene. Aspettiamo qui, buoni buonini".
"Ti ho detto di andare via, per favore! Accompagnami subito a casa! Guarda che scendo e me la faccio a piedi!".
"Ti senti bene, Paul?".
L'autista mette in moto e si avvia verso il lato opposto. Ha il volto rabbuiato e pensoso. L'ambulanza li incrocia, a sirene spiegate. Paul si gira appena a guardarla, poi ritorna a fissare la strada, nel silenzio.
Raggiungono casa di Paul dopo circa mezz'ora. A quell'ora non c'è nessuno.
"Allora... buonanotte, Rod, e grazie ancora, lo stesso".
"Non è peggio adesso così, senza sapere?".
"Che cosa cambia?".
"Io non riesco a non sapere, quante ne saranno rimaste di ragazze, avanti. Non fare così, che cosa ne sai!".
"Ho detto: buonanotte, Rod".
"Perché non rimaniamo ancora un po' a parlare, non ti va più?".
I due si guardano. L'altro scende e si avvia al cancelletto verde, senza rispondergli. Apre con le chiavi. Entra nel cortile.
"La ami, Paul? La ami davvero, allora? Non me lo hai mai detto, parlavi sempre di tante cose, ma...almeno stanotte, potresti essere sincero, no? Almeno con me".
Paul non si gira più, ed entra dentro. Gli cadono anche le chiavi: le raccoglie con le mani tremanti, apre il portone e così sale di corsa, come in fuga da se stesso o incalzato da un'urgenza segreta.
L'autista Rod fuma la sua sigaretta, nella pace notturna. Una ragazza di quella stessa festa moriva a pochi chilometri per un'emorragia interna. Sua cugina  la copriva con il golfino bianco che aveva dimenticato dentro, per il freddo feroce di quella strana serata di ospiti galanti improvvisi, che le baciano le tempie e la gola, ciascuno dal suo punto  sfocato di osservazione: e prima di soffocarla in un abbraccio candente e lontano, come quell' invitato dell'ultim'ora, l'unico puntuale e non annunciato.
Lo stesso istante della sua ultima boccata. Gli occhi chiusi e la testa all'indietro, poco prima di ripartire, pensando a chi fosse rimasto di loro ancora lì:  semmai tra gli ultimi pochi invitati eletti, silenzioso e discreto, con quel glaucoma  notturno dilagante nel cuore e nell'imbrunire violento degli occhi.
Il pianoforte riprende, dalle tende ancora scomposte; sbiancando all'ultimo sobrio destino, the same song:  My foolish hearth.
Un cameriere libera gli ultimi tavoli del salone, i guanti ancora bianchi. L'enorme stanza della festa appena mozzata e trascorsa, è rappresa nella fosca patina di un'ampolla di calcedonio. Uscendo dalla sala, con l'ultimo lucente vassoio, l'uomo si sfiora lo sguardo all'interno di un enorme specchio a parete.
Spegne la luce.
l.s.

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