Tra gli estremi da cui spero sempre di rifuggire, vi è o quell'atteggiamento borioso e arrogante di chi sa scrivere davvero e ne è consapevole, cercando di utilizzare questa sua capacità come strumento di dominio o di annientamento intellettuale, verso e contro ogni possibile voce possa inciampare nel suo territorio minato. Oppure, dall'altra parte, la totale inconsapevolezza di taluni, non scrittori ma sedicenti tali, espressa da un costante gorgoglio amatoriale, a volte altrettanto borioso, che dispensa un flusso caotico di "scrittura" o stralcio di resoconti e getti adolescenziali da rotocalco, definendosi anche loro, più degli altri, a tutti gli effetti scrittori (non falliti ma incompresi), solo per il fatto che frequentino con le loro parole i loro spazi, quelli alla loro portata, e non di rado disprezzando diversi altri luoghi, semmai meno semplici da occupare e da frequentare dei propri, se non moderatamente elettivi, come se non fossero adeguati a un certo tipo di linguaggio e di spessore, quasi con l'aria sprezzante di chi abbia declinato un invito, – che forse non gli è mai stato fatto.
Non so tra le due terrificanti caratteristiche di specie quale faccia più male a chi invece vorrebbe vivere la sua scrittura come un luogo profondo dell'anima, una porta aperta e silenziosa verso il mistero e non verso le certezze, le scuole, le mode o le roccaforti idealistiche.
In ogni caso preferisco sempre il difetto di chi possegga davvero qualcosa e la ostenti, anziché lo spasmo effimero di vacuità assoluta del fabbricante di fumo, pur rimanendo incline a fare sempre tesoro dell'umiltà e del riserbo su quello che si pensi di valere, ritenendoli due compagni di viaggio indispensabili per qualsiasi percorso ci si accinga a compiere.
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