Quello che sgomenta è il senso alterato del tempo, la velocità con cui una persona che scrive deve condividere, sempre, a tutti i costi e prima degli altri. Nella luce e nella velocità della luce. Abbagli e spasmi di libertà, dove fermarsi è un delitto, è uno spreco al rispetto sacro di questo spazio concesso e sterminato – pur nella sua spaventosa densità–, di questa vita che va riempita di nuove parole, nuovi segni e potenza di dominio su chi tace e ancora non ascolta! Lo scrittore post-moderno, in questo clima vertiginoso di rapide piroette continuate, non potrà sedimentare, maturare un proposito, serbarlo, perché nello stesso momento in cui pensa di fermarsi, ci saranno centinaia di scritti e di scrittori che faranno prima di lui e questo allora vuol dire morire o impazzire. Si tratta di quelli che avranno già sedimentato, maturato, serbato e adesso sono pronti a scoccarsi come frecce nel cuore stanco del mondo. O che sono pronti a scoccarsi senza aver necessariamente già sedimentato, maturato, serbato. Nella velocità il linguaggio deve farsi lucido, performante, tenace, così il messaggio, lo stile. Seduttivo, fasciato di nudo e di grandi profumi francesi, che lasciano la scia per chilometri. Telegrafico e diretto, un linguaggio astuto, che socializzi e aggreghi l'istinto tribale delle condivisioni, dei diktat che infuriano da ogni dove, come degli adoratori del vuoto che incensano pensieri scritti non più per il loro interno, ma per il mondo di chi li produce. Quel negozio ha i biscotti scaduti, ma io ci vado lo stesso a comprare, per gli occhi azzurri della commessa. Più o meno. E ancora: non conviene più intrattenersi su punti troppo delicati, che non saranno mai approfonditi da chi li leggerà, semmai tra pochi istanti. Anche perché, in questa offerta lampeggiante di cose da dire, di spazi da occupare e di classifiche da scalare, anche i lettori avranno la stessa smania di entrare e di ingurgitare tutto lo scibile e il possibile nella frazione più piccola, senza aver sedimentato, maturato e serbato il contenuto di quello che è stato letto, ma collezionando impulsi. Il tempo di fruizione e la velocità con cui tutto sia così reperibile e fruibile, potrebbe o già ha potuto condizionare le dinamiche dell'incontro dello scrittore con il lettore in corsa come lui. Una sorta di cocktail o di aperitivo e non più un lungo banchetto di degustazioni, con l'anima profonda del convivio a giustificarne il senso, e non solo l'esito. In un territorio ampio e nuovo di spazi, convulsi da una sassaiola di pensieri scritti, sempre più taglienti nella loro velocità e nella loro veste, come se fossero locuste, il rapporto tra lo scrittore e il lettore passerà dal riserbo di una passeggiata serale, fatta nel silenzio e nella timidezza, al consumarsi di una trattativa convulsa, compressa in pasti veloci, spesso in luoghi scomodi e trafficati, che ti riportano a casa con le briciole ancora addosso, ma di un qualcosa che nemmeno riconosci nella genesi del suo intero, e di cui nemmeno ricordi il sapore. Frammenti di pensieri, esplosi nella velocità delle montagne russe, per paura che qualcuno pensi prima di te quella stessa cosa o la pensi meglio, prima che precipiti nel vuoto della dimenticanza. Tutto arriva presto ma sfuma prima di essere recepito. Pensieri e idee profonde sulla vita, sul mondo, sulla morte, sulla cultura, sulla letteratura, vengono esplosi nel vuoto con la velocità di un coito tra passeracei. Il lampo e poi lo stacco. Un colpo d'ali, appena percepibile e poi sfumare. Lontano, nella dimenticanza. Senza un ricordo, un'emozione, ma solo un tassello aggiunto a una frequentazione spicciola, superficiale, fatta di codici, stelline e diavolerie simili.
Un ricordo di quella certa luce sulla pagina. Di quella voce che ti chiama per la cena, mentre il paragrafo si gonfia e ti travolge e che porterà dentro per sempre quel momento della tua vita che lo ha interrotto, adesso dove sarà? Dell'unicità che si ripone in una certa esperienza, ma che non abbia la fobia del tempo, ma la sua armonia? Il suo tono sobrio e antico, di scansione e celebrazione della vita nella sua ineluttabile morte costante. L'avvicendarsi e sgomitarsi nel chiasso di questi clacson, conduce a una condizione fobica di isolamento non appena non ci si avverte raggiunti, richiesti, ascoltati, molto diversa dalla solitudine di chi scrive da solo, in una stanza fredda, mentre fuori scende la sera e le sue ombre diventano parole, mentre anche le sue parole diventano ombre, che forse nessuno leggerà mai, ma che si incrociano ugualmente nell'imbrunire come una gabbia di rami. Eppure quel vento che mi ha preso il braccio, prima che alzassi la testa alla campagna a al primo buio che vi calava, avrà qualcosa di indimenticabile, nella sua lentezza e staticità. Nel suo fuori tempo il suo tono e accento pieno nell'accordo è puro.
Dentro questo scenario di luci e di combustioni costanti, scrivere adesso per me è ritornare nella notte alta. Quando ormai è già tardi, tardissimo per tutto. In certi istanti è diventare la notte. Rimanere indietro, ma incollato alla sensazione profonda anche di quella sola parola, che avresti potuto perdere per sempre, ma che invece è qui, con te, che ha preso vita attraverso di te, accanto alla candela, riflessa nel vetro appannato, dove avverti che è tutto chiuso e che un altro giorno è finito. Senza possibilità di scambi, di trattative o di rimedi. E grazie a questa parola, almeno per questa notte, è possibile che non ci sarà nulla di cui preoccuparsi.
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