Lasciando scorrere i pensieri nel buio. La rotazione della roulette, fino a quando non si rallenta verso un numero e quel colore preciso, segnato dalla pallina nel suo nido. Così una parola si posa, una dopo l'altra, verso un pensiero, che porta verso un luogo vicino, familiare, che di colpo si fa lontano, misterioso, ignoto.
A quest'ora la campagna è al buio. Potrei coglierne ogni fruscio se solo mi spostassi verso la finestra aperta; ma ne rimango distante, caparbio e prudente in questo calarmi nella mia roulette. Un altro lancio, un altro numero, un altro colore diverso. E scorre con il pensare parole la vita con il suo tempo esploso, che mai definisce e rincuora o verifica, ma segna distanze, confini, battiti, scadenze. Il mare di quello che si ha da dire, la sua profondità alla quale si soccombe.
Scrivere dove non si tocca. In un largo azzurro di acciaio, gelido, dove il viola di un cielo indiano si restringe e si abbassa sempre di più sulle acque di questa notte, come un soffitto truccato di una casa dei fantasmi. Intanto l'occupazione di questo tempo si fa più incerta, insensata, atonale. Trovare un senso preciso, durante il corso di un pensiero fantasma, diventa sempre più difficile, complesso. In questo strano ufficio espressivo, la problematica fondamentale riguarda il ruolo dei pensieri in una certa orbita tonale, ancora sconosciuta alla mia vita di questo momento. Il loro ordine, la loro funzione. Non posso gestire in partenza un'economia mentre fisso sulla carta l'immagine del mio spettro. Come questo abbiare insistente, che da più di un minuto sta accompagnando il mio scrivere. Un abbaiare insonne, doloroso, che delimita gli spazi come una scala pentatonica. Lo vedo, adesso, questo abbiare. Lo avverto così pensante, ingegnoso di un suo dolore di caccia, fremito o tormento di fronda: da una gola umana potrebbe uscire qualcosa di simile, un graffio. Così dal fruscio di questo pensare strisciante, che conduce e non concede limiti, spazi, rivalse. Scrivendo questo flusso avviluppa e disertano le volontà primarie. Da lontano, adesso che l'abbiare ha smesso, si staglia un televisore. Poi qualcosa di lontano. Un silenzio. Un silenzio è sempre qualcosa di molto lontano e inesploso. Il pensiero molte volte rompe il silenzio, come un ordigno ma poi, a volte, lo diventa. Il silenzio ha sempre una dinamica spaziale che verifica la quantità d'aria per tacere. Un tacere profondo ha bisogno di spazio, di uno spazio sovrumano, sconfinato. Immenso, il tacere. Il tacere scrivendo parole o pensieri, o frasi che non abbiano a che vedere con parole o con pensieri. Esistono cose scritte che hanno un'origine diversa da altre. Alcuni scritti sono così perfetti, fliuidi e silenziosi da non sapere più di parole, ma di altro. Di luci, per esempio. Le luci di una sera, durante una passeggiata, semmai una passeggiata in pochi, insomma queste luci possono essere molto più importanti di qualsiasi linguaggio cifrato, scritto o parlato. Le luci hanno una grammatica profonda delle atmosfere. Rodono la materia e consentono squarci di freddo, di un gelo infinito di perfezione, abbagliante e invernale. Le luci possono sorprendere l'analfabeta allo stesso modo della persona istruita. Le parole lo possono in modo diverso, più tortuoso e incerto. Anche il silenzio, come le luci, consente una grammatica profonda delle atmosfere come delle tenebre. Il silenzio stuzzica e addomestica masse, abbracciando nell'abisso del suo effetto sia l'analfabeta che la persona istruita. Le parole si muovono in modo diverso, nella logica contorta dell'ordigno e del peso che incamerano. Dovrebbero orientarsi nella loro estensione, allo stesso modo di come le luci e il silenzio riescono nell'opera profonda di incantamento, durante la loro presenza in uno spazio vitale. Le parole possono molto durante la loro assenza. Un attimo dopo la loro sparizione, si dicono meglio nel loro sfumare. Hanno bisogno di un'eco, di un riflesso che le giustichi, rendendole più universalmente silenziose di luci o luminose di silenzio. La strumentazione giusta per organizzare una buona comunicazione, sono convinto che debba travalicare e trasgredire i confini imposti dalle scuole di turno. La parola deve morire, sfumare; farsi luce, suono e assenza di suono. Il silenzio è perfetto. La parola non ha ancora la perfezione del silenzio. Il silenzio è legato alle campagne aperte, la parola stuzzica il boato industriale. Quando si muove e si riaccorda, a volte scuote di sbarre, di crepuscoli in fiamme, troppo suono ancora. Il volume e l'intensità. Una parola che possa raccordarsi ad un nesso che sia limpido, coerente, intimo, dovrebbe prediligere l'intensità al volume. Abbassare sempre la voce, scrivendo. Ma anche la luce. Una candela, ogni parola. Una candela nella notte. Nel silenzio. Questo punto è una porta sul buio. Ogni punto, ogni cesura, è una porta chiusa. Poi anche a chiave. Lo scatto fobico della serratura. E intanto continuo a non pensare a quello che scrivo e a vedere il risultato di questo mio non pensiero sfociato in parole. Quale la distinzione, nell'effetto, delle parole scritte da pensate a quelle scritte senza pensarle? O forse senza sapere di averle pensate. Nessuna parola sarà mai esente dal processo pensieroso, dal suo rumore tipico. Solo una luce può rimanerne esente. Il silenzio sarà sempre la schiena nuda del suono. La parola, invece, la schiena rotta del silenzio. E dentro il silenzio, a cui la parola spezza le spalle, di continuo, vorrei ricomporre tutto questo flusso, da capo, per sondarne l'effetto, la sua notte.
Ma si sta facendo tardi. Adesso i miei pensieri cambiano clima e latitudine. Sono sintonizzati al rumore delle auto, che si allontanano. L'altra notte, invece, al vociare di una processione, di un gruppo di fedeli appassionati che percorrevano una strada a piedi verso la montagna, con lentezza. Li sentivo, nella notte, proseguire e cantare qualcosa tra i denti. Avrei voluto uscire fuori a guardare, ma sono rimasto fermo, intorpidito dentro le lenzuola, nel mio letto. Qualche istante di paura; di lieve disperazione. Aspettando che quei suoni delicati e profondi si facessero sempre più lontani, fino a svanire, come ultime luci sull'acqua alta. Come quest'ultimo pensiero, che sono costretto a spezzare con un punto, con una porta sul buio, da chiudere a chiave. Così.