Allora poi mi vieni a vedere, vero?
Alle dieci, puntuale, d'accordo...e così scendevo prima, con l'auto, per raggiungerti e assistere a una tua lezione.
Gli occhi ancora di sonno mi hanno subito visto arrivare e si sono emozionati. Così come era emozionato il tuo sorriso di sorpresa, i passi scherzosi e le tue ginocchia perfette nei pantaloncini azzurri e bagnati.
Una giornata meravigliosa e benefica, con una calma diffusa in ogni sua cellula, come in un'arietta d'Opera. I tuoi preparativi, appena un po' impacciati, ai quali assisto muto, le braccia conserte, gli occhiali da sole a murarmi una qualsiasi espressione di imbarazzo o gestazione di una certa intimità, nell'essere l'unico invitato privilegiato a presenziare al tuo piccolo numero.
La partenza asseconda il fruscio della tavola e la tua figura romantica per qualche tempo mi ignora, per eseguire le indicazioni tecniche impartite. Eppure in quei momenti sono dentro il tuo pugno, come una stella marina ancora porosa e non ancora inchiodata. Assisto allo spettacolo seguendo la tua scrittura della scia nel suo specchio marittimo, e pensando a quanto valgano di più quelle parole che scrivi sull'acqua, contro quelle congegnate, elaborate, filtrate da me in luoghi troppo chiusi e appartati. Quanto sfumano e impallidiscono le mie parole contro il silenzio infinito di questi gesti, fatti di tendini, dell'arcata di un tuo fianco pieno, dei capelli che ti discendono sugli occhi e del tuo bel disegno in eclissi. Ancora molto più lontano, quasi irriconoscibile, ma poi ritorni indietro e alzi il viso per controllare se io ci sono.
Non è avvenuta nessuna caduta, il tuo equilibrio è tenace e impeccabile. Le braccia tese sono le stesse che ho sentito allacciate al collo, quasi a spezzarmelo, e adesso combattono con il vento e la stanchezza felice dello sforzo.
Alle dieci, puntuale, d'accordo, e ancora ancora rischiavo di non arrivare per tempo, forse qualcosa dentro di me voleva trattenermi da questo spettacolo incantevole e così malinconico di bravura, da questi baci di sguardi rubati, dedicati alla mia sola esistenza, con la tua paura di sbagliare qualcosa, di farmi perdere la prima fila nella brezza di quell'equilibrio in pericolo, covato nel fondo fresco e ripido del mio sguardo.
Quando ti ho fatto segno che dovevo andare, ho percepito una scia di dolore, molto palpabile, che ti partiva dagli occhi, dalla tua magrezza e solitudine argentina, riflessa nella dolcezza cupa del mare.
Non mi hai detto niente, hai solo sorriso, forse credevi fossi rimasto più a lungo.
Ritornando, la strada luccicava di belle ragazze, di quelle che si svegliano tardi, con gli sguardi ancora immersi nel sonno e nella tua stessa delusione che si ingannava felice. Belle ma anche tristissime, e un po' spericolate come te:
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