Ho ricevuto una mail importante alle 2.55 del mattino e alle 04.21 sono ritornato lontano e dentro di me, nel mistero notturno del mattino. Da qui si avviluppano ombre fitte e il ronzare delle pale al soffitto che friggono e vegliano.
Ieri sera, era già buio, e tu eri sulla bicicletta e mi aspettavi. Eri dentro i miei occhi in tutto il tuo leggero ansimare, sfiorando e distando, nello stesso tempo d' inganno. Al ritorno, io sempre a piedi, hai soffiato sulla candela di un dancing quasi a spegnerla e hai proseguito. La tua nuca sempre più furba e rapida verso l'inizio a ritroso di via Tito Scipione, che è calato nel nero più fitto. Tutti i bei lampioni allineati spenti, come se quel tuo soffio avesse colpito a morte e per gioco, dentro il tuo sorriso che mi guardava, tutto l'impianto della fettuccia di costa e tu avanzavi nel mio stesso nostro imbrunire. A metà strada le luci di una festa e ritorni a galla, quando ti fermo con un braccio e ti dico: vogliamo fingere di essere invitati e ci infiliamo, e allora il tuo sorriso dal buio si apre in una stretta dolorosa di gioia e di complicità, come un filo di vento dal vicoletto Miglio. Hai risposto con la purezza dei tuoi occhi lucidi a voler tentare con me questa follia clandestina di imbucarci in un luogo di gioia che non ci spettava, il golfino appena aperto dalla bicicletta, le luci basse delle lampadine riflesse sul manubrio dove ti curvi appena. Affidarti a me, a perderci dentro nugoli di invitati e di invitate, come nel fumo di un incendio, quando il litorale notturno ci stringe ancora di più del suo petrolio e paradiso lussuoso, lo stesso del tuo costume stretto e invitante che molti ti ammirano, il segno dolce del filo annodato alla nuca dalle clavicole, e tu prosegui, ancora di più, ormai fuori sortilegio. Quando mi hai preso di spalle, con il fiatone e mi hai tirato la maglietta rossa, c'era ancora una luce grandissima, adesso è tutto così pauroso e ancora nostro quanto estraneo, come quando hai perso il fiocco elastico che tenevi nei capelli alzati nella pioggia e io te l'ho trovato e te l'ho ridato, con le mani bagnate di te, e te lo sei messo al polso, come se fossi un mio dono...forse è stato solo ieri, ma allora tu dov'eri...
L'ultimo tratto di nero, poi tre, quattro lampioni funzionanti, lontani dal gioco un po' stupido del tuo soffio rupestre. Che cosa rimane delle cose lontane, dei miei passi contro le tue pedalate senza vento, la tua figura di sera è grande e insieme magrina ma dal seno forte, che mi riempie gli anni dei giorni, come le cose lontane che ho perduto e che ho tenuto con me solo perché mai state. Quanto è lungo questo pensiero in questo deserto dell'alba, a quest'ora avrai chiuso gli occhi da tempo e sei di nuovo a piedi. Come le cose lontane, che non cominciano e non finiscono mai.
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