giovedì 29 novembre 2012

Fuori piove a dirotto. Devo decidere cosa fare di questo post:

Fuori piove a dirotto. Devo decidere cosa fare di questo post, l'ho appena iniziato e non so dove mi porterà. Sento dentro di me la tentazione di cliccare su  Esci, in alto a destra, subito dopo anteprima, e distruggere per sempre questi primi righi, non renderli visibili, mai più recuperabili. Che cosa mi frena e mi fa continuare, adesso non so che cosa sto scrivendo, le dita battono, come la pioggia fuori dal balcone, e bagnano qualcosa, nel buio. Sarei ancora in tempo per distruggere tutto, in fondo sono appena al sesto rigo, ecco, sono quasi alla metà del sesto, adesso posso dire di essere quasi alla fine del sesto, adesso al settimo, ma è davvero divertente, potrei continuare all'infinito, in attesa che qualcosa mi accada, e continuare semplicemente descrivendo il punto esatto di pagina dove sto viaggiando. Ma che senso ha tutto questo? Questo impegnarsi a parlare, a decidere se bruciare quello che ho appena scritto, se invece svilupparlo, articolarlo, renderlo appena più commestibile o ancora più atroce. Non sento più la pioggia. Se avessi cominciato un romanzo in questo modo, avrei già inforcato diversi divieti di sosta, sono ancora sveglio e performante, potrei non distruggere tutto questo, perché almeno qualcosa è cambiato: l'intensità della pioggia e anche la volontà di gettare al macero questa vita polverosa che continua, continua ancora a sciogliersi, adesso ricomincia la pioggia, la sento più intensa, ha la stessa intensità del tocco delle dita sulla tastiera, questo significa che piove forte, ma adesso non posso più orientarmi sul numero dei righi, se volessi riempire ancora spazio e intrattenermi, mi dovrei solo fermare per contarli per bene, ma chi si ferma è perduto, da quando ho cominciato questo post non ho fatto una sola pausa, eppure credo di essere cambiato così come la pioggia, e la mia decisione, anche quella è cambiata, come vedete sto ancora scrivendo assolutamente di un vuoto assoluto, come può essere il rumore dell'acqua, il colore della birra o della lingua dei cani, di quello che farò domani, di quanto mi preme gingillarmi e prendere in giro il mondo in questo post. Eppure un motivo per cui ho cominciato ci doveva pur stare, anche quando sembra che non vi sia un motivo, esiste sempre qualcosa che preme e che si diverte a sfuggirti, fino a quando non la prendi, credo che adesso stia arrivando, la sento così vicina, adesso è come un odore, è più forte del conteggio dei righi, della tentazione di cassare il post o di descrivere la pioggia, ma è un'immagine di me davvero piccolissimo, che in una sera d'estate, per la prima volta avevo deciso di giocare con dei bambini un po' più grandi di me, nel cortile di un albergo dove villeggiavo. È passato molto tempo, ma di quel primo momento di distacco dai miei, ricordo perfettamente tutto. L'intensità delle luci, il tipo di gioco, credo che fossimo allineati, bambini e ragazzine, una sorta di gioco del fazzoletto, ma doveva esserci qualcuno che gestiva il tutto, sono certo che per me era già molto tardi, erano passate le nove e mio padre non era con me, credo sia stato il mio primo dopo cena della mia esistenza passato da solo senza di lui, e così, mentre giocavo, avvertivo il montare della nostalgia, mi guardavo intorno, guardavo le finestre accese e spente delle stanze d'hotel, ma ecco che di colpo, nel pieno del gioco, è lui che mi compare davanti, come se avesse avvertito il mio richiamo. Si fermò a guardarmi giocare, io, non appena mio padre era arrivato, ho cercato di mascherare il mio bisogno di lui, e ho giocato un ruolo di piccola indifferenza, mentre i suoi occhi mi dicevano di quanto anche io gli mancassi, anche se per così poco, e di quanto fosse anche felice di quel suo piccolo sacrificio. Non credo che mio padre abbia mai saputo che il sacrificio era stato anche il mio nel rinunciare a lui. In quel gioco di gruppo mi sentivo ancora solo, perché non c'era lui, proprio come adesso, mentre ne scrivo. Non so perché non gliene ho mai parlato, forse speravo che cominciasse lui, o credevo, come forse sarà avvenuto, che lo avesse scoperto da solo, dal mio sguardo così strano e difficile, quello stesso con cui ancora adesso guardo il mondo....
Adesso, volendo, potrei anche cancellare tutto, ma invece cliccherò sul rettangolo arancione di Pubblica. Non so nemmeno io il perché, ma lo faccio:
forse perché la pioggia è diventata molto silenziosa.

4 commenti:

rosaturca ha detto...

Da una radura di pioggia il tuo scritto è scivolato nella notte dell'ascolto. Stupendo abbandono. Il tuo sguardo “difficile” permette a quella nostalgia d'infanzia di ripassare ancora intatta, come ancora la nostalgia che viene insieme ad ogni libertà. E il sacrificio della rinuncia allora temporanea, oggi dura per sempre.
Nel silenzio della notte riprende a piovere lento. L'aria piú fredda dice ---presto, nevicherá.

Grazie, Luigi.

luigi ha detto...

Ciao, rosaturca.
I tuoi commenti sono sempre dei fari notturni.
a presto
l.s.

Vale ha detto...

Questo tuo post così "libero" mi è piaciuto davvero tantissimo.
Credo sia un bene, ogni tanto, lasciare che i pensieri scorrano e che le dita semplicemente li traducano. È un bene non avere sempre tutte le risposte =)

(PS: non mi ricordo dove l'ho letta quest'ultima frase, né se l'ho parafrasata...)

Un abbraccio!
Vale

luigi ha detto...

Ciao, Vale!
Che bella sorpresa.
Sì, sono d'accordo con te, i dubbi sono formativi. Ricordo sempre con molto piacere i tuoi terrificanti racconti alla King. Bello anche quello di Halloween, credo che ci siamo trovati nella stessa raccolta del Vol. I. Nel secondo non ho partecipato.
a presto e grazie della visita
luigi