Dal balcone della stanza dove scrivo, vi sono due piccoli lumi conficcati a distanza nella terra di un vaso, alimentati nelle ore serali dall'energia assorbita da piccoli pannelli solari durante il giorno.
In estate, dopo cena e quando c'è ancora chiaro, comincio a scorgere dal piccolo vetro rianimarsi una piccola lingua di luce, proporzionata a quanto sole sia arrivato.
Dall' autunno invece rimangono uguali tutto il giorno, spesso con i vetri appannati o bagnati dalle gocce di un piovasco.
Li osservo e penso alla voglia di scrivere la sera, e di ricostruire la luce che ho assorbito durante il giorno, attraverso un vetro immaginario, che spesso non si riconosce nemmeno.
L'energia di uno scrittore avrà forse una sua frequenza scomposta, misurabile in anni di dolore, di grandi ferite o speranze e momenti di gioia, o di condizioni mutevoli alla sua formazione, ai suoi errori, alla sua fantasia, alle sue paure?
La letteratura mi ha avvinghiato come un serpente, all'improvviso, sia come lettore che parallelamente come sperimentatore in prosa.
Non trovo però le mie stagioni esatte. Neppure i miei pannelli per assorbire la luce.
Dal balcone...
l.s.
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