In un'esperienza letteraria importante, avverto sempre questo senso diffuso di deriva, che si dipana dentro e oltre me stesso, disperdendomi in territori lontani ma nello stesso tempo profondamente famigliari. Così come mi è sempre accaduto negli incontri con opere profonde, indimenticabili, anche in questo passaggio, mirabile quanto misterioso, di Erich Maria Remarque:
" Guardavo il suo viso abbandonato, dalle lunghe ciglia, che rimosso dalla magia del sonno non sapeva più nulla di me; del resto non esistevano più i giuramenti, i gridi, le estasi di un'ora prima, e non c'ero nemmeno io, al punto che avrei potuto morire senza che se n'accorgesse, guardavo avidamente, con un lieve orrore, quella creatura umana a me estranea che ormai era quanto di più vicino possedessi, e compresi che si possiedono per intero soltanto i morti perché non possono fuggire. Tutto il resto pulsava e si mutava e si separava, si spostava e non era più la stessa cosa già nel momento in cui affiorava. Soltanto i morti sono fedeli. Questa è la loro potenza".
Estratto da "Ombre in paradiso".
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