Leggerei Saul Bellow a vita; in particolare "Il re della pioggia", allo stesso modo di come e di quanto leggerei a vita Withman, Faulkner, Miller, Proust, Thomas Mann e così tanti altri. Adesso una lieve digressione, relativa però allo sfondo di uno stato d'animo che ho incontrato e abitato ieri pomeriggio, quando chiudendo quel libro di Bellow, appena citato, mi accorgevo di un uomo anziano che nuotava, da solo. Sembrava che quell'uomo addentasse quell'acqua, come pane. Il suo corpo mangiava e divorava il pane azzurrato del mare, la sua crosta di schiuma, la sua forma piena. Il suo gioire era un morso ampio e asciutto dentro la frana morbida del flusso e della mia vita.
La materia dell'uomo dentro la nuotata, in quello stesso tratto di mare e di tempo si dissolveva, e anche la realtà di quel momento si dissolveva e anche la nave color ruggine, ancora molto soleggiata, che spezzava la linea pura e marmorea dell'orizzonte, si dissolveva. Tutto, nella sua dissoluzione, poteva sterminarsi in quelle bracciate felici e mai stanche, in quel conflitto armonico di dune spezzate e di piccoli abissi tenebrosi, di cui può svestirsi e rivestirsi un essere umano in un solo e irripetibile momento di incanto e di perdita.
Ecco perché leggerei a vita, in particolare, Saul Bellow, – e ancora, in particolare, "Il re della pioggia" –: perché ha dentro di sé un po' di tutto questo. Questo stesso profumo di pane e di voracità della vita, forse. O ancora di più: il mistero semplice quanto insondabile di quel "tutto questo". Il suo ingegno di levità e di fragranza.
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