La parola precisa, incisiva, rimane sempre, per fortuna, l'inizio e la fine di un mistero. Come i monti bianchi di gesso di Hemingway, (assolutamente incantevoli!) in "Addio alle armi". Quanto basta per curare una linea pura e potente, mai discordante, asciutta, ma allo stesso tempo universale e varia di riflessi sgargianti di possibilità, pur nella densità semplice e ruvida della sua pasta di bianco-ghiaccio nell'azzurro. I colori, la luce, i suoni, gli odori, appartengono a uno snodo limpido dove lo scrittore flette e intesse, in uno stadio mobile e complesso di dormiveglia o di mezzo sogno, il suo primo ordito tempestoso, spesso ignaro della sua stessa portata, quanto del suo medium e talento espressivi.
La pluridimensionalità del percorso creativo ne assicura, nella possibile precisione, anche la profondità di un nuovo campo aperto, a volte fiorito o ammantato di una coltre delicata di neve, in altri casi minato. Ogni parola, ogni accento, un colpo, una risonanza nella sua debole eco notturna, ormai già lontana. Esatto e coniugato ad altri, che concordano e risuonano nel loro insieme in un controcanto alterato e sognante. Non si saprà né potrà mai prevedersi il punto esatto di arrivo del segno. Il segno non deve arrivare solo con esattezza, non necessita sempre di un suo flusso preordinato e preconfigurato che ne assicuri funzionalità ed efficacia; quelli sono alcuni aspetti, ma non così totalizzanti e condizionanti, secondo me. Lo spettacolo più interessante rimane la verifica della possibilità imprevista e inesatta di approdo a quel certo mormorio febbrile e riconoscibile, non solo, quindi, la tecnica rassicurante che ne preservi la rotta di lancio intonato del giusto segno, ma soprattutto la risonanza nella sua prima penombra vocale. Quale nuova immagine, semmai sconosciuta o inconsapevole allo stesso scrittore nella sua fumosa officina, potrà mai essere raccolta, rievocata, rielaborata e riconosciuta da nuovi occhi, tra sentieri sensibili, ancora nascosti e misconosciuti? Tanto ricco e problematico sarà il mio linguaggio e la mia ostinazione a sperimentarne le chiavi, quanto libera e scaltra, nello stimolo indotto, la fantasia e la sensibilità ricettiva di chi lo osserva e lo gusta, semmai intessendolo con me, in un tempo insieme diverso e incoerente, senza limiti logici di sorta. Senza saperlo, ma vivendolo o meglio subendolo in un processo sano e saggio di inerzia e di totale abbandono. Quello che conta, in sommo grado, è il mistero costante e imprevedibile dell'effetto. Questo elemento lascerà sempre, nella logica e nella libertà ispirata dell'esercizio, la possibile rivalsa a una nuova forma "affettuosa", quell'inquadratura diversa e forse mai troppo usurata e pensata, che sarà poi decisiva, semmai ancora più precisa del suo primo e misero intaglio d'origine. Quella che darà a una spolverata pulita e folta di gesso la stessa profondità e limpidezza delle vette bianche innevate, intraviste come spettri solenni e italiani dagli occhi di aquila di Hemingway e del suo Frederic Henry; non solo il colore, ma anche la forma, il profumo, la consistenza, la distanza fresca e perenne del riflesso primo. O il candore della sua nuova musica, oltre gli spari?
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