Penso che la scrittura sia un processo insondabile, molto particolare e misterioso. Parlo naturalmente per me. Mi accorgo sempre di più che interessarmi a questo processo, alla sua possibile evoluzione, mi rende molto difficile avere dei pregiudizi suoi luoghi dove questo processo dovrà o potrebbe in qualche modo articolarsi, diffondersi, arenarsi. Certo che mi interessa che quello che scrivo in qualche modo abbia un destino, ma non attribuisco un valore assoluto a questo destinarsi, ma solo allo scorrere del processo, alla sua perpetua cascata, che si nutre e si basta da sé. Il resto è relativo, non valorizza il nucleo del processo.
Oggi ascolto e devo dire che gusto molto fragore intorno ai luoghi del pubblicare. Ai luoghi leciti, prestigiosi, illeciti, clandestini, troppo comodi e abbordabili, santificati, demonizzati, quindi ancora un accapigliarsi sulla carta e sul digitale, d'accordo. Non trovo dove sia il problema. Mentre scrivo questo post ho accanto a me un meraviglioso testo in cartaceo di Jerzy Kosinski "L'uccello dipinto". Romanzo in edizione integrale, incantevole, che credo rileggerò per la terza volta, appena concluso questo post. Per cui non mi schiero contro e per qualcosa, perché non sempre un cambiamento, una trasformazione debbano per forza infrangersi come un meteorite sul passato, ma mi oriento e tasto il terreno, annusando e non giudicando. Osservando quello che c'è di buono e di cattivo, come in ogni cosa, dal vino rosso al peperoncino, alla società amatoriale di atletica per mio nipote.
Siamo in piena fase di transizione, ma ormai avanzatissima, non credo che sia più una transizione. Il cambiamento ormai è avvenuto. Non si può ragionare come se nulla fosse successo. Il cambiamento ormai è irreversibile, buono o cattivo che esso sia, bisogna farci i conti, in qualche modo. Ogni tipo di evoluzione, più o meno traumatica o indolore, porta con sé una varietà di problematiche, ma quelli che sono o che saranno i miei progetti, la mia ricerca ma soprattutto il mio divertimento, non potranno che sghignazzare e prendere aria in questo cambiamento: in questo ristrutturarsi di nuovi parametri, equilibri, tensioni, la mia anima canta e fischietta sotto la pioggia e attraverso i campi, fino a tardi. È una grande fortuna trovarsi nel mezzo di questo terremoto. Una splendida opportunità di crescita, di sensibilità, di divertimento, di fallimenti irreversibili ma senza l'ombra della noia, per fortuna. È questo quello che conta: la varietà della vita, le sue dinamiche, contro ogni forma di cristallizazione e di monopolio della cultura o di una certa idea della cultura. Una qualsiasi evoluzione che crei maggiore spazio, farà sì venire fuori le miserie di chi quello spazio forse non lo meriterebbe, ma allo stesso tempo consentirà a tutti coloro o anche ai pochi ai quali uno spazio meritato è stato negato, una seconda opportunità, o anche una prova, un esperimento nuovo e irripetibile. E questa è una forma raffinata, anche se incompresa da molti intellettuali, di civiltà.
Uno scrittore che scrive bene non avrà nulla da temere. Non saranno i luoghi meno elettivi a togliergli quello che ha. Non saranno i luoghi più ambiti a dargli quello che non ha. Non saranno i marchi, le sigle, le persone che lo acclamano o quelle che lo disprezzano a decidere per il valore di quello che ha tentato di dire o che in qualche modo ha detto. Quel valore potrebbe non scoprirlo mai, a maggior ragione se crede che il valore sia solo in un luogo ufficiale, legato a una certa ortodossia, senza la quale il suo processo sarebbe insulso, o addiritura inutile. Il percorso di un artista deve rimanere selvatico ma assolutamente aperto nelle profondità del suo tempo, incline alla condivisione, soprattutto, di quello che uno scrittore ritiene valido, o quanto meno comunicabile. Uno scrittore deve divorare il mondo e le sue possibilità, senza essere troppo sospettoso e senza escludere nulla che non sia stato provato, sperimentato fino in fondo. Provare, stremarsi, logorarsi e poi semmai smettere o scegliere o dormirci su. Semmai contraddirsi, ma vivere senza precludersi un percorso solo per un pregiudizio di forma. Tutto qui.
Non conta il luogo delle mie parole, ma conta l'intensità del processo. L'amore e la dedizione di quel processo è l'unica cosa che conta. Il suo senso incompiuto, infinito. La vita farà il resto. Un pensiero, un'idea, non valgono il loro luogo. Un sonetto del Petrarca, se dovessi leggerlo stasera, tracciato con il gesso di fronte alla pizzeria della mia strada in salita, non perderebbe un solo battito, una sola emozione della mia bellissima edizione integrale dei Meridiani curata da Marco Santagata. Forse ne guadagnerebbe, specie se fosse stato dedicato a qualcuno, che da una finestra potrebbe scorgerlo e incantarsene.
"Il faut être absolument moderne". Così Rimbaud. Il resto non conta. In nessun caso, ormai. Secondo me è già tardi per parlarne.
E adesso posso raggiungere il mio Kosinski.
E adesso posso raggiungere il mio Kosinski.
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