Così Henry Miller apre il suo libro "Il sorriso ai piedi della scala," un libro meraviglioso e poco nominato, purtroppo, che mi è rimasto nel cuore, fin dalle sue prime parole:
"Nulla poteva offuscare lo splendore dello straordinario sorriso dipinto sul melanconico volto d'Augusto".
Che pace e quanta profondità e con quanto poco sforzo, in questo primo nastro di paragrafo, dove si avvicendano tramonti, linee e cerchi d'ombra, sentimenti, emozioni: tutti strumenti profondamente umani e divini insieme. Lontani ed esplosi dentro se stessi.
Ho amato molto questo piccolo libro (79 pagine), cominciato qualche tempo fa a notte fonda, a letto, con un piccolo lume accanto, che mi consentiva giusto quel filo di luce sullo spazio angusto della pagina. E da lì sono sprofondato nella celebrazione di una scrittura densa e sorridente, libera e armonica quanto stregata di una malinconia paludosa, che ci avvicina sempre di più ad Augusto, al suo slancio classico e ascetico. Dal suo viso verso luoghi, persone, animali, frammenti di campagna o di firmamento, nella magia di una congettura tersa e problematica che mi ridesta e mi consola: ai piedi d'una scala tesa verso la luna:
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