La struttura di Elephant, film di Gus Van Sant, del 2003, vincitore della Palma d'oro a Cannes, tra le sue pregevoli caratteristiche di prospettiva e di esplorazione sullo stesso fatto (il film è ispirato al massacro della Columbine High school, compiuto da due studenti della stessa scuola il 20 aprile 1999), inserisce in alcuni punti una visione poliedrica di una stessa azione di scena. Una trovata davvero geniale della sceneggiatura, soprattutto per come è gestita e sviluppata, per i suoi tempi e per le sue originali sospensioni, che mi ha intrigato parecchio.
Per dirla in breve alcune sequenze ritornano, identiche, sfalsate a distanza di minuti per lo spettatore, ma inserite nella stessa dinamica temporale e drammaturgica, con la differenza che la prospettiva di ripresa e di osservazione diventa periferica e legata a elementi che nelle prime sequenze non erano osservatori ma osservati o figure di passaggio. In questa situazione l'occhio che cambia apporta profondità nella stratificazione dello stesso evento, nel modo di raccontarlo e nella differenza di come si muove visto da un altro punto.
L'analisi delle ultime ore prima del massacro, si alterna nel quotidiano delle vittime, dei superstiti e dei due killer. Emergono i segnali variegati di più mondi paralleli e inscrutabili, come le parti singole dell'elefante palpato dalle dita di più ciechi.
Inquietante e terribile.
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