Un cenno sul titolo, credo dissonante per i più se relato al tema del racconto, dico di quello commissionato e natalizio. I francesi hanno dipinto con questo breve disegno "petite mort" la sensazione surreale e sospesa dell'acme di un amplesso o del perdersi dentro un altro. Perché un titolo del genere alla mia storia? Due motivi, legati alle atmosfere interne e anche all'estetica che ho cercato di affinare: la sospensione o senso di sospensione costante che si avverte (livello della realtà e di tempo psicologico) e l'intimità – una mia antenata morta ragazza circa un secolo o più fa, che mi riappare dalla voce di una telefonata improvvisa e attraverso un lungo bacio. Il cuore del racconto attraversa lo spazio che precede, che vive e che segue lo squillo, ma forse lo squillo potrebbe cominciare dal primo rigo, essere ancora squillante attraverso le descrizioni delle fasi motorie e oscure che lo precedono, non essere mai avvenuto; così come nelle storie sui fantasmi, il soffio sulla candela o tra i capelli di una bambina che dorme, potrebbero averlo causato un'imposta difettosa, una feritoia in una vecchia porta, una corrente d'aria. Così come una voce all'orecchio, un sussurro prima di spegnere la luce o di addormentarsi potrebbe essere ricondotto al ricordo di un cattivo pensiero, all'inizio barcollante di un sogno. Il narrato di cui tratto, partirebbe anche da un altro Natale, diverso da quello della telefonata spettrale, simile a quello dello squillo, ma poi pare fondersi con quello evocato: "Anche in una notte di veglia e di vigilia così solitaria e insulare, di cui mi accingo proprio adesso a narrarvi:". E in effetti narra di una notte gemella a un'altra notte natalizia, come se fosse lo stesso clima a rievocare e poi a fondere e a confondere i momenti e i tempi del pensato passato, rievocato e accaduto. La luce della stanza è quella di una torcia, e anche tutte le cose che accadono e che non accadono hanno la stessa luce della torcia, sia nella notte in cui narro che nella notte del narrato accaduto: Dalla finestra appannata il rosaurora di un pianino che fischia dalle Americhe/ il rigo d’ombra di un piovasco sulle grondaie/ di una mano notturna che cuce [...]un palazzo moderno e ancora tutto acceso di lumiere/ i tacchi svelti di una donna dal cortile/l’indaco dei seni/ gli occhi lunari nella saliva lenta del sorso/ un cenone malinconico tra compagni di classe[...].
venerdì 23 dicembre 2011
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