Questi che trascrivo, sono gli step che ho scritto per commentare il racconto "La petite mort". In questo le motivazioni di questa scelta:
Giornata domenicale di pioggia fitta. Atmosfera ideale per leggere. Credo che scenderò più avanti, giusto per comprare il giornale e sentire il freddo negli occhi, il tempo di riappropiarmi del calore di una casa. Dunque, passo zero per precisare un paio di punti. Questi miei interventi non hanno alcuna pretesa di indicare come si faccia qualcosa, ma sono l'opportunità di intrattenermi ancora in un luogo che amo e che ho amato. Tutto qui. Non credo di sapere come sia giusto scrivere, soprattutto tra gli aderenti all'evento, — e lo dico con sincerità – credo di avere solo cose da imparare. E anche in caso vi fossero persone estranee alla passione per le parole che si aggiungeranno, non mi sognerai mai di passeggiare nelle certezze scientiste dello scrivere — oggi molto in voga. L'approccio scientista alla scrittura, al metodo è ancora molto diffuso anche tra generazioni di giovani talentuosi; è un brutto tarlo quello del "si fa così", che divora e che crea un'angolazione asfittica sul testo ma anche su tutta la vita che esiste attraverso e oltre il testo e che non si vede. Lo immagino e lo sento un approccio esistenziale, quello di leggere e di scrivere con il grembiule stirato e ben abbottonato e le coccarde bene in vista. Quindi le mie opinioni in merito a questa piccola avventura, sono legate più all'amore per la lettura che alla scrittura e ai suoi difficili demòni. Credo che sia importante la magia della lettura e non lo scientismo su come si diventa magici quando si scrive.
"La petite mort", è un racconto che nasce su commissione. Mi piace usare questo termine, anche se forse non sarà appropriatissimo, (mi capirà bene Aura), ma perché nell'invito diretto alla partecipazione alla rassegna dei racconti Natalizi, mi è stata commissionata la certezza di un luogo di ascolto e di pratica per la storia, e questo fattore può cambiare non poco il tipo di approccio creativo, almeno in parte, secondo me. Il sapere che c'è qualcuno che sta aspettando la fine delle tue parole, inserisce nel tuo modo di procedere e nel tuo mood di narrare, la sensibilità alla speranza di un ascolto vero, che di solito è la grande incognita di chi scrive: il non avere un luogo e un ascolto definiti e sicuri; il sapere che si sta girando a vuoto — anche se in quel caso una storia scritta, una buona storia, non sarà mai un giro nel vuoto e potrà esistere e sussistere nell'aria anche se non letta e mai letta, ma questa è una questione diversa e anche più complessa. Anche se in qualche modo si potrà sempre stabilire un certo incrocio dove poter condividere una storia, nella rete soprattutto, una richiesta diretta responsabilizza e affina il proprio spirito. Lo stesso che avviene nel prepararsi. sapendo di dover incontrare qualcuno, per un appuntamento importante, per esempio: muterà, anche in piccolo, dettagli e sfumature, rispetto ai ritocchi per un'uscita solitaria e senza una meta. A volte cambierà il modo di pettinarsi, di specchiarsi, di profumarsi. Si faranno più sciocchezze del solito, si cambieranno più camicie, facendo saltare più bottoni dai polsini; si urteranno più oggetti nella stanza, si starà meno tempo al telefono con chi ti chiama prima di scendere, si lasceranno più luci accese e più finestre aperte. Ma con questa tensione, quella dell'appuntamento, si potrà sfruttare al massimo la possibilità di un ascolto certo, sensibilizzandosi alla responsabilità e alla fifa di chi scrive o di chi tenta di farlo in un certo modo — non ho mai affrontato un rigo, nella mia vita, senza un filo di spavento.
Mi piace allora immaginare i passi succesivi di questo minuscolo evento narativo, come i dettagli dei miei ultimi preparativi prima dell'appuntamento-commissione. Senza dettare regole, ma raccontando il privato e il celato del racconto finito; la quantità di profumo rovesciato in eccesso, o la sua ultima fragranza. Ho appena concluso ed è uscito il sole:
0 commenti:
Posta un commento