La problematica dello scrivere bene, è parte del grande fascino che esercita la scrittura, Il suo fattore problematico. La problematica dell'impalpabile. Quando tutto funziona, c'è sempre qualcosa da esplorare. Il campo è profondo, in base alle ore del giorno, alle latitudini, ai venti, alla quantità di luce, cambia la mia voce e anche la mia foce, che darebbe vita alla parola pensata e quindi a quella scritta o appena descritta.
La problematica è parte della ricerca. Vivo con semplicità la dimensione problematica dello scrivere. La credo essenza vitale del gesto e dell'impulso creativo. Non ha formule magiche, ma si rapprende della stessa simultanea complessità della vita non scritta, che è quella fondamentale. Anche la problematica della vita non scritta, che in molti casi diventa vita scritta, è fondamentale. La cosa bella, che prediligo nelle mie esperienze della vita non scritta o reale o di non finzione, è la possibilità di non sentire discorsi su come eliminare i fattori problematici del proprio movente creativo, o di come sia giusto creare. Nessuno mi ha mai incoraggiato a cambiare passo, mentre cammino, e nemmeno a cambiare la mano che impugna il coltello, quando mangio una pizza – quasi sempre devo tagliare con la destra, la stessa che impugna la forchetta, per cui sono costretto ad alternare le posate e le dinamiche in una stessa mano. Anche la mano che impugna la penna è tutta sbagliata, e in quel caso, nessuna maestra, fin dalle elementari, è riuscita a correggermi l'impugnatura, nonostante le continue insistenze.
La problematica dello scrivere, secondo me, è intrinseca e legata all'attività stessa dello scrivere, e non credo che sia sempre un peso, ma un ottimo fertilizzante, per fermarsi, respirare, riflettere, quando si è vivi e consapevoli di quello che accade nell'immersione di una session. Il metodo assoluto perché la scrittura sia libera da fattori problematici e sia perfetta, è la morte. La morte della vita scritta come quella non scritta. La morte della creatività inglobata nel metodo, nella certezza della strada.
Un fattore problematico comporta strategie, moventi, possibilità di relazione, di corporazione, di reazione. È un fattore vitale. Ogni primo rigo o prima parola, sorgeranno problemi. Ogni passo di una vita reale o di finzione, sorgeranno ancora degli altri problemi. Ogni gesto, ne comporterà degli altri, sempre più complessi e problematici, così, quando si scrivono storie, le parole e i pensieri tradotti in parole, scateneranno tempeste, con reazioni a catena, fatti di cose scritte, e non scritte, pensate o non pensate. Lo scrittore non ha quasi mai l'ombrello, e a volte, come nel mio caso, si sente come Mr. Bean ad un torneo di Shangai.
Credo che sia naturale che la vita e i passi di un uomo e delle sue parole, siano intrisi di un fattore di insicurezza, o di ignoto. Quel tipo di fattore di rischio, pur problematico, potrebbe essere l'anima di tutto l'impianto. Non credo, quindi, alla possibilità di vivere un processo creativo come qualcosa di riuscito in partenza, né cerco soluzioni di soppiatto, nelle ultime pagine del libro. Né credo che essere bravi voglia dire non sbagliare, o arrivare prima degli altri o essere fortunati o fortunelli.
Essere capaci in qualcosa, non vuol dire arrivarci necessariamente prima degli altri. Dove sta scritto! Non vuol dire riuscirci senza problematicità. Non esistono strade facili, ma nemmeno difficili. L'importante è avere la dignità del silenzio. Lasciare a ciascuno l'incanto intimo con il proprio problema e con il proprio affare creativo, che nella maggior parte dei casi si prenderà cura di lui. In entrambe le direzioni, c'è sempre un destino che gli eventi e le circostanze incoraggeranno, in un senso o in un altro. In molti casi la selezione naturale incoraggerebbe anche il caso. Un talento sarà attratto da altro, incoraggerà altro, nella sua vita, rispetto a chi talento non ne ha. Non è un merito avere talento, non è una colpa non averlo. La differenza è che un talento dovrebbe avere la sensibilità giusta per ottenere merito in un'attività che lo attrae e lo divora con violenza, e nel nascondere abilmente i suoi demeriti. Spesso bluffando, perché no? La differenza tra uno scrittore in gamba e uno che forse è di seconda classe, è quella di fare semmai le stesse sciocchezze quando scrivono, ma nel primo caso, quando lo scrittore ha una buona natura, quelle sciocchezze avranno un peso diverso: non si sentiranno come nell'altro, o non si vedranno, o saranno così ben mascherate da annullarsi, da confondersi o da creare anche del buono, vedi un po' la vita!
E spesso senza nemmeno saperlo. Non è quasi mai un atto di volontà, ma un meccanismo naturale, lo stesso che sensibilizza la fauna auotctona a nutrirsi di alcune erbe medicamentose, nei momenti di stress o di crisi, pur ignorandone la classificazione in botanica.
E spesso senza nemmeno saperlo. Non è quasi mai un atto di volontà, ma un meccanismo naturale, lo stesso che sensibilizza la fauna auotctona a nutrirsi di alcune erbe medicamentose, nei momenti di stress o di crisi, pur ignorandone la classificazione in botanica.
Concludo dicendo che quando scrivo, ho a che fare ogni giorno che passa, con una lingua straniera. Con una lingua misteriosa che non parlo, e che non è la stessa di quella che ho scritto e praticato ieri o ieri l'altro. Una lingua straniera ma problematica, per mia fortuna, perché è l'unica che riesce a sfiorarmi di una profonda intimità, con me stesso e con la mia vita, e al di là delle sue parole.
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