Nella dinamica di ogni mentre, mi auguro sempre la possibilità di una risonanza: di quel passaggio ulteriore che si sprigiona dal margine del finito per ritornare a proporsi, alle spalle dello scrittore, dentro la creatività e il potere immaginifico di ogni lettore. Questo mentre progressivo, in cui credo, sarà parte viva di ogni frequenza creativa che vincoli il lettore e lo scrittore alla stessa pagina, confondendoli in una sola figura mutante e ispirata.
In ogni fraseggio creativo, nella costruzione anche di un solo paragrafo, spero sempre che quel terreno sia quanto meno predisposto a questo gioco sottile di transumanze e fecondazioni, quindi di riscrittura infinita, che continui, o che incominci davvero, solo quando il libro è stato chiuso.
Se si inquadrasse l'impianto tonale e potenziale di un'opera nella vibrazione di questo nuovo impulso, forse il quadro di indagine sarebbe ancora più ampio, intendo nel configurare in ogni tentativo di espressione quel luogo fecondo di riverberi sottili, rispetto a un altro che invece ne sia orfano, e che pur nella sua perfezione strutturale riconsegni alla parca tranquillità di un vuoto.
Eppure, nonostante potremo incontrare diverse varianti di rielaborazione, anche all'interno di una sola pagina, spero sempre, e di cuore, che le stesse siano sempre sconfinate a percepire il passaggio di ali successivo all'esperienza temporale in sé, anziché l'ortodossia del noto/statico (e non più estatico) all'interno di quell'unico flusso esperienziale configurato, che di solito non si completa mai se non in un corrispettivo – anche se non così frequente – illogico altrove.