Accettare dei compromessi, perché il proprio linguaggio ritrovi in qualche modo un suo spazio maggiore di accoglienza, una sua collocazione. Credo che oggi sia indispensabile stabilire i margini di questo compromesso: quello che va attenuato, modificato, disossato, annullato. Partendo dall'estetica del linguaggio, o anche solo sui temi? Sul tipo di trama, sui tempi, sulla durata, sulle sensazioni, sullo stile? O su cosa più?
Ma non credo nemmeno che attenuando, modificando, disossando, si raggiunga il compromesso voluto, che in qualche modo metta d'accordo. Non penso che esista una verità, ma una serie di congiunzioni, spesso misteriose, astratte e non tanto pianificabili. Forse il sale di quest'avventura sarà dato anche da questa frustrante imponderabilità che annebbia e avviluppa un po' il tutto. Io non mi esprimo per cercare una stasi, un'accoglienza, un accordo, un compromesso. Ma per smuovere foglie, terriccio e per spalancare le finestre delle mie stanze chiuse. Per creare dubbi attraverso le mie emozioni e creare emozioni attraverso i miei dubbi. Forse. Nella mia sfera creativa vorrei uno spazio diverso, meno asfittico e ortodosso. Altrimenti che senso ha?
Il compromesso con qualcuno ha bisogno, in ogni caso, di un contatto vivo, di uno spazio aperto di scambio, di condivisone. Di una stagionatura di rapporto diretto, de visu, dove la mail sia solo un elemento accessorio, uno start e non lo strumento essenziale dove tessere una relazione in attesa di successiva sentenza.
Ritornando alla questione prettamente estetica di un certo linguaggio, possibile che per qualcuno quel passaggio sarà troppo sfarzoso. Non va bene scrivere con sfarzo, con troppi ornamenti, si dirà. È male fraseggiare, vocalizzare di troppi arpeggi la propria idea. Si potrebbe obiettare: lo sfarzo e l'ornamento potrebbero non essere e rappresentare la stessa cosa. Potrei essere ornamentale e non sfarzoso, nel senso dell'utilizzo di un ornamento pudico, non troppo esteso. Ma anche gli sfarzi in un paragrafo possono non essere ornamentali. Si potrebbe essere sfarzosi per la sola scelta dei suoni o dei singoli segni in un discorso e non tanto per la forma sintattica complessiva. Uno sfarzo di significanti, intendo e non solo di significati, quindi. E così, avanti, all'infinito, alla ricerca di un punto d'accordo irraggiungibile.
Molto spesso, analizzando i discorsi nei confronti di una certa opera, ci si perde in codici che hanno significati totalmente diversi tra gli interlocutori. Dove anche una sola parola si affaccia su paesaggi, suoni e colori diversi. Il senso del discorso e dell'approccio a una certa opera, si staglia nella maggioranza dei casi su linee di pensiero abissalmente diverse e incompatibili.
Ho letto tempo fa alcuni racconti di Carver in due versioni: una editata, l'altra spoglia da interventi. Nella seconda versione quei racconti cantavano, avevano un'apertura e una profondità davvero particolari. Parlo della versione più selvatica dei racconti di "Principianti".
Concludendo: accettare dei compromessi sul proprio linguaggio, non significa prendere – o far prendere – le proprie idee a colpi d'ascia.
È tutto: