Nelle ultime fasi, quelle tipiche di rifinitura di un lavoro che ci ha tenuti impegnati per molto tempo, si avvertono diversi mutamenti e suggestioni, che spesso sono fatti di ombre o di quel sottile filo d'aria o spiffero che non si capisce da dove provenga, ma che insiste a farsi vivo.
Nel caso de "La compagna di classe", progetto a cui manca davvero pochissimo per vedere la sua prima luce – gli ultimi ritocchi di color correction e qualche altro particolare nei titoli di coda – queste ultime ore sono state caratterizzate da diversi elementi di riscoperta del senso profondo di questo viaggio, che nelle fasi precedenti forse mi erano sfuggiti. Come se in dirittura finale questo film mostrasse per la prima volta il profilo delicato di un suo nuovo mistero, dove ogni rielaborazione emotiva del processo creativo ritrova una sua inspiegabile e indimenticabile risonanza sentimentale. Ed è proprio in questa risonanza che il nastro di questo viaggio mi ha rapito, attraverso le ombre della sua genesi, della sua urgenza di esserci e di amarmi, in ogni caso. Eppure dopo tante visioni diverse e molto tecniche della struttura, ci si dovrebbe un po' abituare agli effetti del temporale che un processo creativo ormai concluso e definito dovrebbe in qualche modo scatenare, nel bene o nel male, in chi lo accosta per la prima volta. Ma per me non è stato così. Per fortuna, direi. Sono rimasto sotto questo film sempre impreparato e senza l'ombrello, così come mi accadde il mio primo giorno di prima media, dove esplose un temporale improvviso e inatteso, che mi colse impreparato come un'interrogazione non prevista.
Se dovessi sintetizzare quello che succede in questa storia, dovrei partire e finire con qualcosa che riguarda un processo problematico e orgasmico di sinestesia. Tutto si muove e si disfa e si rinnova in un mondo incerto e incantato di sensazioni, di incontri controversi (e un po' mancati) tra sfere sensoriali, che dal linguaggio comune entrano e attraversano colori, sentimenti, risonanze e luminescenze di altri piani prospettici, ma nello stesso tempo compatibili e concilianti con i tempi e gli spazi di questa struttura sospesa nei ricordi e nella nostalgia di quello che non è più stato, e che in qualche modo ci definisce e ci rapisce molto più di quello che è stato o che a volte è. Rimanendo innamorati delle nostre assenze, dei nostri passi incompiuti e di tutto il perduto, forse perchè sono proprio loro ad amarci e a definirci...molto di più di qualsiasi altra cosa acclarata, compiuta e conclusa, che quasi mai si intinge di indimenticabile.
Le immagini soffiate e statiche de "La compagna di classe" partono e si avvincono in una forma sottile e stregante di innamoramento del linguaggio e lo stesso linguaggio si smuove e rievoca altre immagini, suoni, colori, rifrazioni quasi sul punto di sgretolarsi, proprio come nell'ansia di ricompattare dentro di noi delle pagine strappate durante un'interrogazione disastrosa. Tema portante di questo strano poliedrico apparato rimane un ricordo doloroso e tentacolare in cui perdersi, radicato come una quercia secolare nella storia, ma disteso nelle ombre del film come dell'aria d'aprile che filtra da una finestra socchiusa e che ci sfiora la nuca. Quel tanto per smuovere un filo di capelli sul viso assonnato di una compagna di classe, lontana lontana...ma non ancora sfumata.
l.s.
2 commenti:
Perché nella creazione più pura, non schiava della tecnica o del marketing, c'è un riverbero continuo, un'eco, una risonanza che attiene la nostra stessa vita e lí trabocca, si compone e scompone in un osmotico scambio, con quel che siamo.
Buon lavoro e grazie per la bellezza che semini
Ciao, Eletta.
Hai colto il punto. È davvero un processo osmotico, nel quale ci si perde e forse, attraverso questo particolare tipo di perdita, si ritrova un'altra rotta.
Grazie sempre a te, per tanta attenzione e sensibilità.
Un saluto affettuoso.
luigi
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