Quanto tempo avrei per rispondere? Un minuto, un secondo solo? Una giornata, una notte o una vita intera? Può mai scorporarsi una risposta dal tempo? Eppure, se chiediamo un aiuto per raccontare una storia, proprio questa storia qui, dovrei spiegare almeno una motivazione tra tante, anche una sola, qualcosa che ne giustifichi in qualche modo, in qualsiasi modo, l'importanza.
Che cosa può essere più o meno importante da raccontare, per giustificarne anche il senso, il senso dello stare al mondo accanto a tutte le altre storie che in qualche modo sono riuscite a schiudersi, a diffondere il proprio profumo, la loro fragranza oltre i confini della propria costante possibilità di inesistenza, di invisibilità? Quanto tempo avrei per cercare di capire per quale motivo un viso piuttosto trafelato di ragazza e una striscia radiosa delle cabine di uno stabilimento balneare, mi siano balenate dal nulla dentro gli occhi, come un ricordo, uno scintillio, o nemmeno? Forse come un lampo, quell'attimo di giallo rapsodico nel buio, che precede il tuono, o anche il silenzio e poi scompare.
Forse perché il racconto di "Notte di rondini", oltre al lampo di questo viso, è un lampo che precede un temporale di silenzi e non di soli tuoni, o meglio: di tuoni silenziosi e tremendi. Questo lampo è parte di una storia molto lunga, lunghissima, che interessa tante persone e che le accomuna e le stringe, come un nastro o del filo spinato che cinge una zona limitata, confinata entro una fortezza di dolore infinito e spesso inconsolabile. Il racconto di "Notte di rondini", è parte del nastro e del teatro di quella storia, che a sua volta è racconto di un'altra storia e di ancora un'altra, tutte diverse, come sono uguali e insieme diversi gli esseri umani violati, l'uno dall'altro e nell'altro, nel modo di reagire, di ricordare, di negare fino alla morte e di macerarsi dentro la sopraffazione, o nel baratro di una solitudine spietata che può venire inferta in un nulla, in un pomeriggio di pioggia leggera, quando in giro non c'è nessuno, le persiane appena abbassate, la sedia accanto al muro, quel leggero dormiveglia dove tutto quello che accade pare già scomparire e non esistere più, proprio come quella carezza, coraggiosa e sfrontata, fatta dopo essersi tolti gli occhiali e sazia del suo stesso tremore o anche gesto sicuro e chirurgico, che si fa strada e cammina, cammina, cammina, dentro una cameretta, poi come una formica si avventura sopra un braccio, poi verso l'inguine o in uno sguardo, in una pettinatura, sul tetto rosa di una casa, nella rinuncia ad un giocattolo, a un cinema, a una festa di compleanno, a una gita scolastica, a quel filo di trucco in più, a quelle scarpette basse ancora in vetrina che ti piacevano e che all'improvviso non hai più comprato, così come è successo con quella camicetta color mavì dalla tristezza infinita. Quella carezza nera e spinata continua, accompagnando del suo tremore le giornate in bicicletta o a piedi, i bicchieri di latte della sera, i pomeriggi davanti alla tv, l'amore di un cane. Come le lunghe notti di insonnia, i silenzi di un bosco o di un cortile, dove qualcuno che non si vede mai sta saltando da ore su di una corda, poi su di un solo piede o anche senza gambe. Saltare senza gambe e dimenticare l'esistenza della luna, per l'attimo nero di un pomeriggio, potrebbe portare alla pazzia, in poco tempo. Anche una sola notte di questi balzi, potrebbe portare troppo lontano e far scomparire, tutto questo dentro un vuoto insondabile.
"Notte di rondini" insieme e attraverso il grande animo di Terra dei piccoli e di Andrea Cippone, vorrebbe abbracciare questo vuoto dentro il suo cuore, per raccontare insieme di un cuore ancora battente e caldo, delle conseguenze di quella carezza sbagliata, come del destino di quel gesto che può arrampicarsi come un ragno in una stanzetta con le persiane appena abbassate, fino a scavalcare e sgretolare carte da parati calde di tramonti, universi di sogno e di tenerezza, di pomeriggi lontani di una colonia estiva e di nostalgia. Come ho anche scritto nella presentazione del progetto, citando letteralmente Emil Cioran "Ogni individuo che scompare trascina con sé l'universo". Quella carezza sbagliata e fuori tempo e fuori musica, è l'inizio catastrofico di una lenta scomparsa, di un graduale annegamento dentro se stessi, dentro l'abisso di quel se stesso ferito, assediato, senza alcuna possibile o impossibile pietà, senza speranza di rimersione, – purtroppo molto spesso è così. Per il dolore infinito dell' essere e sentirsi marchiati a fuoco, fin dalla tenera età, dall'abisso di quel gesto rovente, un gesto che ne richiama un altro, poi un altro ancora e dentro un labirinto di gesti avvenuti, conclamati, anche se segreti e inconfessati, ne accadono a pioggia altri, tutta una risonanza interna di gesti che ti entrano nei capelli come topi, dagli occhi rossi, in apparenza immaginari ma ugualmente lancinanti come quelli avvenuti, subìti, che adesso si amplificano, come una vegetazione insidiosa, un mostro a tre teste o un'edera folta di dolore e di ricordi cattivi e di carezze e di vetri che tremano, per il motore familiare della sua stessa auto che sembra che passi oltre ma che adesso rallenta, svolta e sta ritornando; per il fumo nero dei suoi passi, come per il suo sguardo triste dietro gli occhiali e il suo mal di cuore.
Perché raccontare di questo? Per cercare forse di far pensare, ricordare o anche solo immaginare di allontanare in un esorcismo la tempesta dai tuoni muti, come il motore di quell'auto ormai familiare, che sta parcheggiando mentre si è già a letto, con gli occhi aperti? Allo stesso modo di quel lampo, quello che ha dato la vita all'impulso rapsodico di questo film, poco prima di un temporale silenzioso e tremendo? Un temporale fatto di battiti e di extrasistoli come di sguardi bassi, di strade bagnate, fischi nel buio e negozi già chiusi, prima di sera. O ancora.
Ecco perché sarebbe giusto aiutare questo racconto a vivere in un film. Almeno provarci, in qualsiasi modo. Credo che possa far bene a tutti. Ne sono certo.
È ancora una volta tutto qui: Notte di rondini: pagina ufficiale del progetto.
2 commenti:
Magnifico testo in cui si macina il tutto, o il senso di una traccia, di una vita.
Ho visto Youft due volte. È un film che trasmette nella pelle, nella pancia, negli occhi l'emozione. Un film che trasmette tutto e con un linguaggio purissimo ed estetico, rispetto all'interrogazione ultima sul senso di una vita.
Ti auguro, quindi, di riuscire a trasmettere tutto questo cosmo indifferenziato eppure essenziale a questo tuo progetto, naturalmente con il tuo gusto, sensibilità e linguaggio.
Un abbraccio
Eletta
Ti ringrazio tantissimo delle tue parole, Eletta, davvero.
Credo che le parole e le emozioni in diversi casi, come in questo tuo, così sincere e immediate, diano già un senso, quanto meno all'impulso. Lo accudiscono, lo proteggono, come l'ala di un uccello sulla cima del suo capo. E nello stesso tempo lo slanciano.
Un saluto affettuoso e ancora grazie infinite per il tuo ascolto sensibile!
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