All'inizio questo approccio narrativo così aspro, metallico e tagliente disorienta. Mi riporta allo snodo tetro di un labirinto. Poi, avanzando, mi accorgo che dentro le trame sottili di questo intreccio si nascondono e riemergono elementi creaturali dalle impressionanti profondità. Luoghi e intercapedini che conducono dal vicolo cieco, accanto a una fermata di tram, all'abisso violento di un'anima.
Rimane impressa come un vortice di luci e di suoni questa scrittura così ispirata della Jelinek, dalla nitidezza fobica esatta e cristallina. Intatta e geometrica nel suo caos lagunare, come nella sua mostruosa e incatenante intimità.
Solo qualche sprazzo:
"Le
piccole osterie agli angoli delle strade vomitano già la loro luce sui
marciapiedi. Nelle zone illuminate, gruppi di persone in lite per
un'osservazione inopportuna pronunciata da qualcuno. Erika dovrà
scoprire molte cose che ancora non conosce. Qui e là si avvicina un
motorino che improvvisamente crivella di crepitanti colpi di spillo
l'aria e si allontana veloce, come se qualcuno lo stesse aspettando. In
parrocchia, dove la gente fa baldoria e cerca di liberarsi subito dei
motociclisti che turbano la pace. Vanno quasi sempre in coppia su quegli
spompati motorini, per sfruttare meglio lo spazio: non tutti ne
possiedono uno. Le automobiline viaggiano piene, stipate fino all'ultimo
posto; spesso una bisavola siede fiera lì dentro, in mezzo ai parenti
che la portano a spasso al camposanto[...]".
"Ora ci sono sempre più uomini che incrociano la strada di Erika. Come per una segreta parola magica, le donne sono scomparse nei buchi che qui si chiamano case. A quest'ora non vanno sole per la strada, soltanto in compagnia dei familiari, per bere una birra o far visita ai parenti. E solo se è presente un adulto. Ovunque tracce del loro operare e tramare: vapori di cucina, ogni tanto il leggero tintinnio delle pentole e il raschiare delle forchette. Il baluginio azzurrino del primo serial televisivo della serata guizza da una finestra, poi da un'altra e da un'altra ancora: cristalli luccicanti di cui si adorna la notte che scende. [...]".
Estratti da Die Klavierspielerin (La pianista), di Elfriede Jelinek
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