È mattino presto.
Abbaia un cane. Passa un treno. Nel canto degli uccelli il crepitio di un rogo.
Sento il silenzio dai suoni e i suoni dal silenzio. Avvertendo quanto sia ricco un luogo desertico, dirado questo mio post come una scaglia di ghiaccio oltre lunghe mura bianche, delle quali vorrei costellare questo mio diario e diradarlo ancora di più, allo stremo delle mie possibilità, e impreziosirlo dello stomaco di una mia assenza. Renderlo bianco di silenzio, come una cima innevata e solitaria, dove si sente solo il vento e non esistono i passi.
L'horror vacui di un ospedale colmo di parole, non ascoltate e fraintese, fa solo del male al gesto di cominciare un qualsiasi intento comunicativo. La dedizione a progetti vivi, dove è vivo il senso sparso del pericolo di una reale responsabilità, sono molto più utili al demone letterario che non apparizioni continue e sconcertanti, performanti solo per appianare pieghe, colpevolizzare l'assenza dal traffico iroso delle mie cattive idee.
Non trovo limite alla percezione della devastazione. Le mie parole sono toccate come un frutto da questa spaventosa devastazione, che risucchia col suo rossetto e lascia un solco freddo di verderame dentro la mela. Un verme rosa che brucia dentro un frutto, nelle possibili sacche di angoscia di un eterno e irreversibile declino.
L'ascolto. La scrittura, in ogni sua forma, è finalizzata alla profondità di un ascolto. Non trovo possibile comunicare senza avvertire durante la piccola o disastrosa stesura di un pensiero, la minima possibilità di una profondità di ascolto. Le parole bruciano dentro una vestaglia aperta, oltre gli spazi del tessuto possono scoppiare seni o cataclismi. Sentire quello che si ha da dire è il pericolo che mi porta a frenare il disegno dell'impeto verso progetti dove avverto la vita e non la morte convenzionale della comunicazione frammentata e smozzicata. La ricerca di un'informazione continua, il costante approccio alla consultazione, alla mancanza di tempo e di amore, raggela la possibilità espressiva e formativa di un qualsiasi gesto. Un pensiero nasce da un'inquadratura lontana, che si avvera in un percorso di scambio e di vitalità, che diminuisce e si ritrae. Da un viso che slarga da uno specchio d'acqua e ti ricorda mentre si dimentica e sfuma. Quando piove avverto sempre un senso dolce di pomeriggi e di domenica. Lo sguardo azzurro di una vedova che lava a secchiate una tomba.
Amo l'odore aspro del deserto e delle camicie appena stirate. In questo momento anelo a dilatare il bianco del muro, avventurarlo nell'odore forte della calce, quando nelle erbe prative si sente il sole e lo sguardo si fa nitido di isole. Ritornare a comunicare in un regime di scambio tra vivi, anche con piccole frasi, parole semplici, davanti e dietro il mio pensiero spezzato. Il rumore del carro oltre il raggio mozzo della ruota, dove si avvera il trotto della carrozza, quello che allontanandosi ridiede a un pittore chiarista la giusta tensione per sgocciolare il pennello umido dal suo primo buio. La forza di dire contro il tradire o lo stradire/stridore, ma senza cercare ascolto. Il dire e l'ascolto non devono toccarsi mai. Il dire dovrebbe essere già una forma pulita di ascolto. Ma io non sento l'importanza di un ascolto, ma della profondità dell'ascolto. Che sta morendo.
Attraverso l'evoluzione dolorosa e complessa di altri progetti diversi, preservo in ogni modo la mia sensibilità verso quello che dovrei dire ma che taccio.
Dirlo di mattino presto ha un altro suono. Lontano da quello dei camion.
Come adesso, mentre da fuori bruciano foglie.