sabato 12 febbraio 2011

L'orlo dell'abisso e i luoghi di riparo

Scrivendo sull'orlo dell'abisso, cercando di provare a tastare un linguaggio intimo e nuovo, vi si dirà che non si comunica. Che è tutto eccessivo, troppo moderno o peggio con troppo simbolismo, artifici inutili e poca sostanza. Troppo di  postmoderno, d' imagismo e di neoimpressionismo.
Scrivendo in modo ostentatamente più semplice e forse più comunicativo le stesse cose, vi si dirà che tutto è molto riduttivo, già detto e già scritto, a volte banale e per niente moderno e con poco simbolismo. Troppo poco o nulla di  postmoderno, d' imagismo e di neoimpressionismo.
A questo punto, tra ciascuno dei due estremi, sono fermamente convinto che lo stesso lettore che ha evidenziato i limiti del primo, evidenzierà gli stessi possibili limiti del secondo caso. Soprattutto quando non avrà nessun interesse fisico e diretto alla sorte e all'evoluzione di quello scritto, e a tutto quello che riguarda quel testo al di là della sua forma e del suo gusto, o del suo impeccabile o peccabile giudizio. Quando il testo non l'ha sporcato a dovere è facile limitarsi a misurarlo senza avvertire altro se non i suoi spigoli, i suoi vertici, le sue distanze o dissonanze e linee d'ombra.
Credo invece che una modifica o anche mille o duemila modifiche sostanziali a un testo, in ciascuno dei suoi possibili estremi, anche se non sentite direttamente dall'autore, vadano fatte e preseguite, e con grande umiltà, solo quando dall'altra parte si è impregnati e parte attiva del processo di gestazione e revisione, e non quando si rimane fuori e indifferenti a quello che avviene oltre i propri parametri. Ciascuna differenza di visione diventa ricchezza quando è parte di una sensazione piena e coinvolta, anche e soprattutto nel dissenso, e non di un pensiero asettico e precostituito verso un certo linguaggio.

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