Sul valore di quello che si scrive. Così David Grossmann, in un passaggio di un suo romanzo, mi riporta a questa certa difficoltà di un riscontro definitivo, di un'oggettività. O forse vi è una zona interna e molto profonda, dove questo valore in qualche modo ti punisce e si pronuncia, per dimostrare di essere qualcosa di altro da un semplice "scarabocchio"? Semmai con battiti, con colpi e strani rintuoni?
"E mostri a qualcuno quello che scrivi? Ecco, era proprio questa l'intonazione che cercava: secca, colma di disprezzo gelido e distaccato, perché Avram capisse esattamente cosa pensava di lui. Razza di fanfarone. No, mormorò Avram spaventato, ma che dici? A nessuno. Allora come fai a sapere se quello che scrivi vale qualcosa? Magari non vale niente. Devi mostrarlo a qualcuno, continuò Orah con foga, qualcuno che ti possa dire se è roba buona o se è soltanto uno scarabocchio. Non so davvero se è roba buona, sospirò Avram, però me lo sento, una cosa del genere la senti, la senti qui! disse battendosi all'improvviso un pugno sul petto con violenza, due o tre volte, come se volesse punirsi per qualcosa...[...]".
David Grossman, da "A un cerbiatto somiglia il mio amore".