Ho attaccato questo libro in una notte dove si cambiava l'ora. E l'ho finito il mattino presto del giorno dopo, in un orario ancora incerto, sospeso, forse per assaporarne la bellezza profonda e impercettibile dei suoi passaggi più intensi, come un cucciolo di lupo di fronte all'orgasmo di un primo plenilunio, semmai rigato dai rami degli arbusti del giardino del liceo Brunelleschi, elencati con amore e con dovizia, per ogni capitolo affrontato.
E leggerlo così, tutto di un fiato, è stata una fame, più di una scelta: una fame che mi è nata dall'ascolto di quelle stesse dinamiche che hanno consentito di realizzare il progetto, da quei fruscii che diventano odori di terra e di umano, e che attraversano un'idea dell'uomo antica e moderna, attraverso la riscoperta ispirata dei suoi valori e degli strumenti adatti per recuperarla in pieno. Questo libro è un libro sulla bellezza e sulla sua condivisione. Una bellezza che ha incoraggiato la nascita difficile di questo ponte di alberi e di vita, verso la speranza di un polmone che apporti ossigeno e speranza alle nuove generazioni, verso la generosità di un intento, che attraverso il progetto di un liceo scientifico, attraversi i tempi, le dinamiche, le grandi correnti spirituali, in un caleidoscopio animato da grandi riflessi, che non abbagliano ma che al contrario segnano meglio la strada da percorrere.
Vorrei partire da questa bellezza, senza soffocare troppo tutti gli spunti e le virate che l'autore ha gestito naturalmente, coniugando con abilità la passione ispirata e scientifica con i fondali della sua umanità e dei suoi incontri, catalogati insieme agli esemplari, e a volte dipinti e confusi tra di loro nella delicatezza di un piccolo acquerello.
E allora sono ancora più convinto che certi passaggi di questo libro vadano abitati e poi ripresi, nel tempo, come la passeggiata solitaria del mattino dell'autore, nel giardino didattico, prima delle lezioni e dell'affollamento, per ripararsi in quel silenzio produttivo che ha dato voce ad un percorso consapevole di etica e di affinamento delle percezioni verso il piccolo, il non visto, seguendo a volte la rotta e gli slanci delle grandi tradizioni orientali.
E all'improvviso le persone e le storie che si fanno alberi, con la stessa morbida stoccata dei getti vitali, e quasi nello stupore di un sortilegio annunciato, con quell'odore buono di terreno e a volte di dolore. Come nell'assenza ingiustificata di Biagio, fino all'abbraccio nodoso di quercia del padre di Luigi e la bellezza del viaggio improvviso e notturno del professor Bifulco, per raggiungere il camion che avrebbe trasportato gli alberi, ritrovato al mattino presto come sformato dalla nebbia e dal fumo, e che è rimasta una delle immagini più belle di tutto il libro. E ancora la voluta personificazione di Vivara, all'interno delle storie, dando anima a quello squarcio di vita e di suoni che ha stimolato ancora i ragazzi a cercare quel particolare dimenticato, quello scroscio di volatile che prima appena sentivi e che adesso invece riconosci come un richiamo intimo, personale.
Questo libro segna l'amore per un viaggio difficile di crescita, di consapevolezza per il proprio ambiente e soprattutto per il territorio disconnesso e spesso poco irrigato dell'altro, del più debole, che può essere riscoperto attraverso la lucidità illuminata di un intento comune, con la stessa attenzione al miracolo di una fioritura improvvisa.
La scrittura di Bifulco riesce a rimanere leggera e chiara nella sua espressività, pur solcando regioni profonde, e articolandosi con disinvoltura nella costruzione di questo percorso di braccia e di radici, che si intrecciano quasi a confondersi.
Per ogni capitolo una storia, la classificazione di una pianta, un documento. E questa sequenza accompagna e rianima i tratti del percorso senza mai irrigidire il tessuto narrativo, ma liberandolo di una serie infinita di stimoli e di riferimenti. Ogni capitolo è accompagnato da un piccolo estratto da opere letterarie di grandi autori e pensatori, che traccia il primo solco fertile e terroso prima dell'immersione nelle sue dinamiche narrative.
A volte avrei voluto guardare tutto il processo di rinnovamento e di costruzione del giardino, dalla parte operosa e silente del piccolo lombrico, con le sue trovate preziose, la sua idea istintiva della terra, che rimane senza clamori, e farlo con la stessa sua naturale profondità di pratica e di solitudine, semmai quello stesso lombrico risparmiato e messo in salvo in uno dei capitoli del libro.
Forse è proprio nella tenerezza invisibile di quel piccolo gesto che si nasconde il messaggio e la bellezza incantata di questo libro, che mi auguro continui a rivivere ancora della stessa speranza di rinnovamento e di coraggio, con la flessibilità e la tenacia degli arbusti del Bagolaro, con la forza spaccasassi dei suoi possenti apparati radicali, e senza mai più fermarsi.
l.s.